SI FA PRESTO A DIRE PASTA: VI SVELO I TRUCCHI

di PAOLO CARUSO (agronomo) – L’industria italiana della pasta è leader nel mondo: questo comparto produce circa 4 milioni di tonnellate l’anno, ovvero un quarto della produzione totale nel pianeta; negli USA un piatto di pasta su 3 proviene da stabilimenti italiani, ma anche nel vecchio continente il 67% della pasta consumata è di produzione italica.
Malgrado queste significative statistiche, nel 2019 alcuni big dell’industria pastaria italiana hanno registrato una riduzione significativa dei profitti rispetto all’anno precedente.
Tra i motivi che hanno condotto a queste difficoltà economiche, uno dei più importanti è dovuto certamente all’aumentata consapevolezza dei consumatori, che con sempre maggiore attenzione si preoccupano di verificare il paese di provenienza della materia prima.
Tutto è iniziato nel 2018 grazie all’entrata in vigore del regolamento europeo 2018/775, sull’origine dell’ingrediente primario, obbligatorio indicare in etichetta la provenienza del grano per la pasta, precisamente il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello in cui è stato macinato.
Questa norma ha rappresentato una rivoluzione copernicana per i grandi produttori di pasta italiani, che utilizzavano e continuano ad utilizzare ingenti quantitativi di grano estero, soprattutto canadese.
Ma se in precedenza questa informazione veniva occultata, oggi deve essere resa pubblica e ciò rende più agevole per il consumatore la scelta tra un marchio piuttosto che un altro.
La preferenza per il grano nostrano non è dettata da un sentimento di sovranità alimentare, ma è piuttosto il risultato dell’analisi di alcune criticità tipiche del frumento importato.
L’aspetto che più preoccupa sono le particolari condizioni di sicurezza alimentare in cui versa il grano che arriva soprattutto dal Canada, dove le basse temperature non consentono una maturazione naturale della pianta, che per completare il suo ciclo colturale ha bisogno di essere irrorato con massicce dosi di glifosato.
Il glifosato è un principio attivo accusato di sospetta cancerogenicità e oggetto di migliaia di contenziosi in sede civile negli USA (promossi da persone malate di cancro venute a contatto con questo prodotto), per la risoluzione dei quali la Bayer-Monsanto, azienda produttrice del formulato chimico, ha recentemente stanziato più di 10 milioni di dollari, onde arrivare a una transazione giudiziaria senza dover affrontare il dibattimento.
L’utilizzo del glifosato è vietato in agricoltura in Italia, ma con il grano importato questa divieto viene aggirato.
L’aspetto agronomico non è l’unico a condizionare la qualità fitosanitaria del grano canadese, infatti i lunghi periodi necessari per il trasporto marittimo e l’elevato grado di umidità sono il viatico ideale per lo sviluppo di micotossine, delle muffe che possono causare effetti di vario tipo, come il cancro e la mutagenicità, nonché portare disturbi a livello estrogenico, gastrointestinale e renale. Alcune micotossine sono inoltre immunosoppressive e riducono la resistenza alle malattie infettive (Fonte: European Food Safety Authority).
I controlli sulle navi cariche di grano estero che arrivano nei nostri porti non sono sempre puntuali e meticolosi, aumentando così la probabilità che la pasta venga prodotta con materia prima non sicura.
Di contro, il grano duro prodotto alle alte temperature tipiche del nostro meridione esclude la presenza di micotossine e solo questo ne giustificherebbe l’utilizzo esclusivo.
Un pubblico sempre più attento si informa anche su altre caratteristiche della pasta che acquista sullo scaffale: la tipologia di materiale utilizzato per la trafilatura e la temperatura di essiccazione condizionano gli altri due parametri che vengono maggiormente presi in considerazione.
La trafilatura attualmente può essere effettuata utilizzando due tipi di materiali: il teflon e il bronzo.
La trafilatura al bronzo richiede tempi di lavorazione maggiori ma migliora la porosità, rendendo la pasta capace di trattenere sughi e condimenti. Risultato impossibile da ottenere con trafile al teflon con cui si produce pasta liscia e scivolosa.
Inoltre, la trafilatura al bronzo presuppone l’utilizzo di semole di alta qualità e procedimenti di essiccazione molto lunghi, che lasciano inalterate le qualità organolettiche e nutrizionali delle materie prime di partenza.
Alla trafilatura segue la fase di essiccazione, ovvero il parametro tecnico più importante che il consumatore dovrebbe conoscere per valutare il tipo di pasta da acquistare.
Alla fine del 1800, per essiccare gli spaghetti occorrevano circa 10 giorni in estate e 20-30 in inverno, nel 1903 con l’avvento dell’essiccazione meccanica i giorni necessari a ultimare il ciclo si ridussero a 3-5. Con i nuovi impianti si raggiungono temperature elevatissime, comprese in un intervallo compreso tra 90 e 115°C, che riducono a 2-3 ore il tempo di essiccazione.
L’essiccazione ad alta temperatura (>90°C) si è diffusa perché comporta una netta riduzione dei tempi, dunque una maggior produttività e minori costi.
Una pasta essiccata ad alte temperature ha un ottimo comportamento in cottura, ma le elevate temperature raggiunte durante l’essiccazione provocano un danno termico all’amminoacido denominato lisina, molto importante per il nostro organismo che non riesce a produrlo autonomamente.
Il processo di essiccazione già a temperature maggiori di 80°C provoca la formazione di furosina, una molecola non naturale che può aggredire i villi intestinali, alterando la loro integrità strutturale e funzionale con il risultato di compromettere la digestione intestinale.
Le alte temperature di essiccazione deteriorano anche la struttura del glutine, rendendolo meno digeribile.
Malgrado la riduzione della qualità nutrizionale con il processo di essiccazione ad alte temperature, questa tecnologia oggi è quella esclusiva nei processi industriali per un problema di contenimento dei costi di produzione.
Queste differenze si possono cogliere anche visivamente: una pasta essiccata ad alte temperature in tempi rapidi probabilmente avrà un colore giallo paglierino intenso e un aspetto levigato, al contrario una pasta essiccata lentamente a basse temperature sarà di colore opaco e di aspetto rugoso.
Questi fattori, sempre più presi in considerazione dai consumatori, hanno avuto il merito di incrementare i consumi di pasta fatta con grano italiano e in maniera “artigianale”, in un perfetto connubio tra territorio e qualità.
Tutto questo sta costringendo i grandi produttori di pasta a rivedere la propria filiera di produzione. Da qualche anno anche ai piccoli produttori agricoli sono stati offerti questi contratti di filiera, ma sempre più spesso questi ultimi si stanno organizzando per affrancarsi da questa condizione producendo pasta artigianale, perché solo la filiera corta può valorizzare la qualità del prodotto. Un artigiano parla, forma, educa il consumatore all’uso consapevole di un prodotto di qualità, senza pensare troppo ai margini di guadagno. E a quanti sostengono che il prezzo di vendita di questa pasta è eccessivo, rispondono che non bisogna risparmiare su un pacco di pasta o su un barattolo di passata o di pomodoro pelato, ma su altro genere di prodotti, meno impattanti sulla salute.
Occorre fare scelte di buon senso. Non serve allungare l’aspettativa di vita media, se poi bisogna viverla da malati.

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