LUDOVICO VAN, DOPO DI LUI SOLO RUMORE

di SERGIO GHISLENI – Dopo di lui soltanto rumore, han sentenziato esperti di musica di varie epoche. Il compleanno numero 250 di Ludwig van Beethoven è uno dei must di questo stranissimo anno 2020 ma non c’è pericolo: la posmodernità è straordinariamente gattopardiana, tutto cambia affinché nulla cambi, e la vera immutabile colonna sonora delle nostre vite sta rapidissimamente tornando la sòlita: vrum, vrum, vruuuuum. Un mesetto di normalizzazione e già quel silenzicchio tipo austerity anni 70 si perde nelle nebbie del ricordo.

Riparte anche la F1, quindi possiamo stare tranquilli, riecco anche il rassicurante rumore dei motori a scoppio più potenti e l’assordante tam-tam mediatico che l’accompagna (pubblicità, cioè informazione totalmente acritica, a un sistema basato sulla pubblicità: questo sì è un tema interessante). Chi siamo noi per fermare il progresso, la necessaria ricrescita economica, l’imperativo di salvare – come si deve dire adesso? Il segmento? La filiera? – dell’automobile? Non siamo nessuno, ma certo, quindi avanti.

Però ci si può sempre ricordare che un paio di mesi fa in molti faticavàmo a tirar sera e ad alcuni era venuto in mente di frugare nei cassetti dei vecchi CD, quando non delle vecchie cassette ferrocromo, o perfino dei vinili del nonno salvàtisi dall’ultimo traslòco. (Ma che cretinate giurassiche vero? Vuoi ascoltar una sinfonia? Digita una sigla sullo smartphone e in tre secondi sei in mezzo ai berliner Philarmoniker).

Ma se si ha tempo o non si possiede l’oggetto-fetiche di questo tempo, ci si può comunque sbattere inutilmente soffiando via un velo di polvere dal disco, si può provare se toccare la puntina fa ancora quel rumoraccio delle vecchie casse dello stereo, ci si può stirare sul divano e cominciare a pensare che quel tale James Watt e Beethoven eran quasi contemporanei; uno inventò la macchina a vapore e ci condannò tutti alla civiltà del rumore, l’altro inventò successioni di rumori come questa: concerto numero 5 per pianoforte e orchestra, tre movimenti, il secondo in particolare se non vi fa spremere almeno una lacrima siete esseri puramente a-emozionali e – permettete – vi meritate solo che il Leclerc che vive accanto a voi parta sgommando ogni mattina alle 6.30, per rovinarvi l’ultimo meraviglioso sogno che può, che deve avervi ispirato la sera prima il grande Ludovico Van.

Lo chiamava così, familiarmente e affettuosamente, non proprio un genio ma il capo-drugo nell’Arancia Meccanica di Kubrick. Se perfino una testa di cavolo così (e la realtà supera sempre la fiction, lo sappiam tutti) capisce che può vivere un po’ meglio grazie a Beethoven, ho pensato, magari funziona anche con me. Funzionaaaa!

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