IL DRAMMA DEL CARCIOFO (E NON SOLO)

di PAOLO CARUSO (agronomo) – Le trascorse feste di Natale, condizionate dalle restrizioni del Covid, rischiano di dare un colpo ferale a molti settori del comparto agricolo nazionale.

L’esempio emblematico è rappresentato da quello cinaricolo, fiore all’occhiello di regioni come Puglia, Lazio, Sicilia e Sardegna, che costituisce un vero e proprio termometro del paradossale stato in cui versa l’agricoltura italiana.

Passato il tempo di cene e cenoni, molti agricoltori, in assenza della domanda da parte di ristoratori e operatori del catering, sono alle prese con il dilemma se procedere o meno alla raccolta dei loro carciofi: in questo momento i costi di raccolta non possono essere coperti da quelli di vendita.

Da qualche giorno, in molte regioni del sud e del centro Italia, gli operatori del settore stanno protestando per una situazione insostenibile che rischia di mandare sul lastrico decine di migliaia di famiglie. Naturalmente questa grido di dolore trova spazio, sporadicamente, solo sulla stampa specializzata ed è assolutamente trascurato dal circuito mediatico mainstream.

I carciofi sono solo la punta di un iceberg rappresentato dalla quasi totalità dei prodotti ortofrutticoli. Lo stesso ragionamento si può fare per agrumi, fragole, grano, etc.

L’esiguità dei prezzi di remunerazione ha essenzialmente due matrici: lo strapotere della Grande Distribuzione Organizzata e l’importazione selvaggia da Paesi stranieri, fattori, tra l’altro, che spesso agiscono in perversa sinergia.

Le grandi catene di distribuzione sono ormai diventate il canale quasi esclusivo di vendita dei prodotti agricoli e, dall’alto di questa posizione condizionano in maniera molto pesante il mercato dell’agroalimentare, spesso rivalendosi a danno degli operatori agricoli.

Coldiretti calcola che per ogni euro speso dai consumatori per l’acquisto di alimenti meno di 15 centesimi vadano a remunerare il prodotto agricolo, per effetto delle distorsioni e delle speculazioni che si verificano lungo la filiera a causa degli evidenti squilibri di potere contrattuale.

Inoltre, al danno provocato agli agricoltori, si aggiunge la beffa causata ai consumatori, che pagano comunque a prezzi esorbitanti frutta e ortaggi.

Questa distorsione trova spesso una facile sponda grazie alle importazioni di prodotti agricoli da paesi esteri i cui costi di produzione sono risibili rispetto ai nostri. A ciò occorre sommare le spesso precarie condizioni di sicurezza igienico-sanitarie di questi prodotti, che non sempre rispettano i parametri minimi richiesti per arrivare nelle nostre tavole.

Ed è proprio questo punto che suggerisce l’idea di individuare e introdurre un organismo di controllo con competenze e mezzi adeguati, che sanzioni comportamenti sleali e infrazioni alle regole di sicurezza alimentare.

Non si tratta di sterile sovranismo alimentare, ma di una necessità testimoniata anche da un’indagine Coldiretti, secondo la quale la grande maggioranza dei consumatori (82%) è d’accordo sul fatto che in questa fase è importante acquistare prodotti italiani per tutelare una filiera agroalimentare che dal campo alla tavola garantisce all’Italia il primato nella qualità e nella sicurezza alimentare.

Sanare in qualche modo queste ingiustizie profonde, rendendo più equa la catena di distribuzione degli alimenti, dovrebbe essere un dogma per la classe politica di una nazione che consideri il settore agricolo come veramente “primario”.

L’agricoltura, tra l’altro, è un settore trainante che fa muovere un indotto che va dal settore del packaging, a quello dei mezzi di produzione (concimi, antiparassitari), ai trasformatori e a quello della logistica e dei trasporti. Nascondere la testa sotto la sabbia non serve a nessuno, per il bene di produttori e consumatori.

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