HONG KONG, ACCANIRSI SU UNA DODICENNE

di MARIO SCHIANI – “Aveva un fare sospetto”: con queste parole la Polizia di Hong Kong si è autoassolta per l’arresto di una ragazzina di 12 anni, condotto con i modi che ci si aspetterebbe di veder applicati nei confronti di un gangster, durante le proteste di domenica scorsa.

La Polizia non ha ritenuto opportuno aggiungere dettagli sull’atteggiamento sospetto tenuto dalla giovane: aveva forse il bavero del trench alzato? Oppure sogguardava l’andirivieni dei passanti da sopra gli occhiali da sole? Magari fischiettava per darsi un contegno e, nella distrazione, si è sorpresa a modulare le note di “Yankee Doodle Dandy”, visto che, come sostengono alla noia le autorità cinesi, le proteste di Hong Kong sono alimentate da “potenze straniere”.

I video comparsi in Rete non chiariscono se la dodicenne sia al soldo della Cia, però mostrano con chiarezza come la Polizia si sia accanita su di lei in quanto “colpevole” di essersi messa a correre davanti a una banda urlante di agenti in tenuta antisommossa. La giovane è stata placcata con lo slancio che si userebbe nel Sei Nazioni di rugby e sopra di lei si è presto impilata una massa di poliziotti, tutti impegnati a bloccarla nel caso, non si sa mai, disponesse di poteri da Wonder Woman.

L’arresto della ragazzina si aggiunge alla lista ormai sterminata di casi, sospetti o lampanti, di brutalità poliziesca, tanto che ben pochi a Hong Kong, oggi, si fanno illusioni sul ruolo svolto dalla Polizia nei confronti dei movimenti di protesta che, a partire dal 2014, hanno percorso la città a statuto autonomo a fronte dei tentativi sempre più evidenti da parte delle autorità di Pechino di “normalizzare” la regione e di soffocare le voci del dissenso.

I vertici della Polizia hanno sempre giustificato il comportamento degli agenti e, salvo rarissimi casi, si sono rifiutati di prendere provvedimenti disciplinari, appoggiati in questo dalle autorità locali e centrali. Nel caso della dodicenne, hanno detto che in conseguenza del “fare sospetto” della giovane è stato applicato dagli agenti il “minimo di forza necessaria” a contenerla. Al quotidiano “Apple Daily”, pubblicato da quel Jimmy Lai arrestato settimane fa in base alla ormai famigerata legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina e ora uscito su cauzione, la madre della ragazza ha raccontato una storia diversa: insieme al fratello di 20 anni, pure arrestato, la dodicenne era nei paraggi per procurarsi materiale scolastico per il disegno. Spaventata dagli agenti, si è messa a correre, la coda di cavallo svolazzante come in un cartone animato giapponese: il resto è quanto si vede nei video. La ragazzina, ha aggiunto la madre, ha riportato diverse escoriazioni e, soprattutto, ora è “traumatizzata”.

Questo punto sembra di particolare interesse. Impegnata com’è ad assicurarsi un posto stabile tra le potenze mondiali, la Cina del presidente Xi non può certo permettersi di tollerare turbolenze interne eppure, nello scatenare una turba di poliziotti contro una ragazzina di 12 anni, sembra allo stesso tempo incapace di comprendere quanto certe immagini, che dall’ancora semi-libera enclave di Hong Kong arrivano al mondo, dimostrino come questo status sia ampiamente immeritato. Forse pensa sia facile far credere che quanto accade in America è anche peggio e le masse cinesi sottoposte alla propaganda ne saranno convintissime, ma qui in Occidente è ancora possibile distinguere le pesanti turbolenze di una società impegnata a fare i conti con se stessa dalla repressione pura e semplice applicata da un regime dittatoriale.

Non è difficile ipotizzare che dal trauma subito emergerà una giovane ancor più convinta che la strada della democrazia, con tutte le sue curve pericolose, sia quella da seguire e che il magnifico orizzonte di progresso celebrato dalla Cina con le fanfare della sua retorica propagandistica nasconda in realtà la fisionomia di un bullo, nient’altro che un bullo: uno di quelli che, a scuola, tira la coda di cavallo alle compagne di classe.

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