GLI INTRIGHI DEL KAMUT

di PAOLO CARUSO (agronomo) – Nella puntata di “Report” andata in onda lunedi 7 giugno è salito alla ribalta il più geniale caso di storytelling che sia mai comparso nel settore agricolo, ovvero il Kamut, un marchio registrato dalla società Kamut International.

Il grande pubblico conosce il Kamut come una varietà di grano, ma in realtà non è altro che un marchio che commercializza prodotti aventi come materia prima una varietà di frumento registrata negli Stati Uniti con la sigla QK-77.

Sul sito della Kamut nella sezione “Storia” viene raccontato che: ”la scoperta di questa varietà di frumento risale al 1949, quando Earl Dedman, un aviatore americano di stanza in Portogallo, ricevette alcuni chicchi di grano dall’aspetto insolito, da un uomo che affermava di averli presi da una tomba in Egitto. Earl inviò 36 chicchi di questo grano a suo padre, Rube Dedman, un agricoltore vicino a Fort Benton, Montana, Stati Uniti. Di lì a sei anni, l’anziano Dedman aveva fatto crescere da quel piccolo numero di semi più di 40 tonnellate di grano, chiamandolo “Grano di Re Tut”.

Si tratta evidentemente di una narrazione fatta ad uso e consumo di consumatori creduloni, che ha però attirato l’interesse di una vasta platea di consumatori, consolidando nel tempo una solida posizione commerciale al marchio Kamut, che viene identificato come un prodotto legato alla tradizione, dalle riconosciute qualità salutistiche.

In realtà, questa tipologia di frumento botanicamente appartiene alla varietà Khorasan (Triticum turgidum ssp. turanicum). Il grano turanico si è differenziato nella regione del Khorasan, oggi divisa fra Iran, Turkmenistan e Afghanistan, e da quella zona nel corso dei secoli molte popolazioni sono giunte in tutto il Bacino del Mediterraneo, comprese le regioni meridionali e insulari della nostra Penisola, portandosi appresso la coltivazione.

Caratteristica di questa specie è la significativa variabilità, evidenziata dalla presenza di numerose tipologie, diverse tra loro ma con un tratto comune, ovvero le rese inferiori a quelle del frumento duro che nel corso dei secoli è stato preferito.

Tuttavia, il modello alimentare che si sta progressivamente affermando, fondato su un intimo connubio tra cibo, salute e riscoperta di cibi della tradizione, sta alimentando una sempre maggiore domanda di prodotti che abbiano qualità salutistiche riconosciute: in questa scia si è perfettamente inserito lo storytelling legato al marchio Kamut.

Ma la trasmissione di Rai 3, pur tra qualche incertezza narrativa e qualche dimenticanza, ha avuto certamente il grande merito di portare alla ribalta molti degli inganni che sono stati alla base del successo di questo marchio.

Il grano Khorasan a marchio Kamut è stato storicamente legato alla certificazione bio dei propri prodotti, ma il documento televisivo ha realizzato uno scoop, portando alla luce un documento di Federbio che evidenzia la presenza di Glifosato, un principio attivo assolutamente vietato in Italia per l’agricoltura biologica, in quantitativi superiori al limite consentito nei prodotti di questa azienda.

Il Glifosato, che molte sentenze definitive, soprattutto negli USA, indicano come cancerogeno, è necessario per far maturare artificialmente il grano a marchio Kamut in Canada, nazione da cui proviene gran parte di questa materia prima e per questo motivo viene utilizzato a profusione.

Questa scoperta ha, come per incanto, convinto molti dei grandi gruppi che commercializzano prodotti a marchio Kamut a interromperne la vendita o a rettificare le etichette, eliminando la dicitura “Bio”.

La narrazione dei proprietari della Kamut è stata infatti agevolata dalla compiacenza interessata di grandi gruppi del settore agroalimentare italiano, che interessandosi esclusivamente dell’attrattività del marchio, hanno tralasciato la possibilità di realizzare filiere con agricoltori locali che da decenni coltivano varietà locali di grano Khorasan.

In Italia sono diverse le aree e le varietà interessate a questa tipologia di coltivazione: nelle aree interne dell’Appennino meridionale vengono coltivate le varietà di grano del gruppo delle Saragolle, la varietà Solina è coltivata nell’area del Gran Sasso, mentre in Sicilia è molto diffusa la coltivazione della varietà da conservazione denominata Perciasacchi.

Tutte queste, insieme a qualcun’altra, appartengono alla subspecie Khorasan e quindi hanno le stesse caratteristiche botaniche e, probabilmente qualitative, del grano venduto come Kamut.

In barba a questa elementare nozione botanica, si è preferito sottostare al regime di monopolio adottato dalla Kamut, invece di investire e credere sui produttori locali, con il risultato finale di rincorrerli e denunciare il fallimento di questa politica come evidenziato nella puntata di “Report”.

Purtroppo già si segnalano casi di appropriazione indebita di semente e di iscrizioni ai vari registri che non lasciano ben sperare per il futuro: le solite guerre tra poveri.

In Italia, da qualche anno, esiste un altro sistema di monopolio che riguarda una varietà di frumento duro, ovvero il “Senatore Cappelli”, probabilmente la più conosciuta varietà di “grano antico”.

Questa varietà viene venduta, come semente, in esclusiva dalla Sis (Società italiana sementi), una delle principali aziende sementiere italiane, in base a un contratto di licenza stipulato nel 2016 con il Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura controllato dal ministero delle Politiche agricole).

L’Antitrust ha deciso, nel novembre del 2019, di multare la Sis con 150mila euro per pratiche commerciali scorrette legate alla vendita delle sementi del grano “Senatore Cappelli”.

La concessione in regime di monopolio di questa licenza è una vicenda molto controversa che è stata oggetto di numerose interrogazioni parlamentari e di proteste di quella parte del mondo agricolo che su questo grano aveva costruito delle filiere sostenibili e dignitosamente remunerative per i contadini.

Ma anche qui la natura, e la biodiversità, ci vengono in aiuto: pochi sanno che la varietà “Senatore Cappelli” deriva da una selezione fatta sulla popolazione di frumento nord-africana “Jean Retifah”.

Il punto è che in Sicilia ci sono due varietà locali, il “Bidì” e il “Margherito”, che derivano dalla stessa popolazione e hanno caratteristiche botaniche e qualitative pressochè identiche al “Senatore Cappelli”: ma questo forse è meglio non farlo sapere a qualche imprenditore distratto, non si sa mai…

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