di PIER AUGUSTO STAGI – È chiaramente una questione di punti di vista, ma forse sarebbe il caso di rivedere alcune nostre convinzioni, con tutto il rispetto per i nostri nonni e i nostri genitori.
Vaccinare i più deboli: quindi le persone più anziane. Questo è quello che più o meno tutti hanno pensato e stanno pensando di fare. Altri, in verità al momento una minoranza più che silenziosa silenziata, dicono il contrario: vediamo di vaccinare chi può costituire pericolo e può trasformarsi in pericoloso vettore: i giovani, appunto.
Se è vero che il governo ha deciso di dare la priorità agli anziani e agli operatori sanitari, c’è però chi prova a guardare oltre, come ha fatto per esempio il fisico Roberto Battiston, secondo il quale, visto che il maggior contagio arriva dai ragazzi, andrebbero vaccinati prima i tre milioni di liceali piuttosto che i 26 milioni di over 50.
E poi c’è la “variante inglese” – da non confondere con le ben più complesse versioni di greco e latino -, molto più contagiosa. E poi ci sono le parole del virologo Roberto Burioni, docente all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che su ‘MedicalFacts’, sito da lui fondato, scrive: «Ma c’è una cosa che mi dà molto, molto fastidio: questa variante più contagiosa pare circolare con particolare intensità nei bambini (0-9 anni) e nei ragazzi (10-19) anni rispetto alle altre fasce d’età. Un elemento che deve portarci a una sorveglianza particolarmente attenta nel capire tempestivamente se questa variante comincerà a circolare nelle scuole che il 7 gennaio riapriranno».
Con la “variante” in agguato ci sarebbe un motivo in più per stare attenti, ma fin da subito c’è da valutare l’opportunità di vaccinare per primi tutti coloro che sono più esposti: dagli operatori sanitari ai professori, dagli studenti a chi ha un ruolo attivo e produttivo nella società. Non è per una mancanza di rispetto nei confronti dei nostri vecchi – tutt’altro -, ma rifacendomi alla famosissima convenzione marinara “prima le donne e i bambini”, allo stesso modo mi augurerei seriamente che per primi venissero vaccinati i nostri ragazzi, seguendo esattamente questa consuetudine secondo cui le donne e i bambini è buona norma siano messi in salvo subito.
Questo modo di dire e di fare entrò nel lessico comune in occasione del naufragio del Titanic, ma la pratica di questo cavalleresco comportamento fu adottato durante il naufragio della Birkenhead nel lontano 1852. In quell’occasione il comandante ordinò alle mogli e ai bambini di salire sull’unica scialuppa di salvataggio a disposizione, mentre gli uomini rimasero sul ponte di coperta fino al completo affondamento della nave.
Da uno studio svedese pubblicato nel 2011, si parla di consuetudine sempre meno applicata. La convezione “prima le donne e i bambini” sarebbe stata preferita e sostituita nel tempo da un più generico “si salvi chi può”. Esattamente la stessa che non dovrebbe mai scattare in questa difficile situazione pandemica.
Egr.Dott. PIER Augusto Stagi,
c’è un bel salto dal “…prima le donne ed i bambini..” al “…si salvi chi può “ !
Generazionale e fors’anche epocale.
Magari è questione di stile abbinato al coraggio .
Di certo c’entra, ed assai, il fine ultimo che s’intende perseguire.
Giusto per adeguarmi alla saga dei “detti” famosi , si può convenire che “…siamo tutti sulla stessa barca “.
Quindi non sarebbe male se , tutti, si remasse nella stessa direzione . Mi pare il minimo sindacale.
Altrimenti, Troisi docet : “ non ci resta che piangere”.
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi