TITOLI DI CODA ANCHE PER L’ULTIMO MITO

di LUCA SERAFINI – Il lockdown del Milan dura da qualche anno. Il doppio passaggio di proprietà da Berlusconi al Fondo Elliott via Yong Hong Li ha relegato la società in un caos che sembra inesauribile e la squadra a un galleggiamento perenne in acque ibride.

Nel frattempo, dall’aprile 2017 sull’altare rossonero si sono immolati 3 allenatori (Montella, Gattuso, Giampaolo) e 4 dirigenti (Fassone, Mirabelli, Leonardo, Boban).

Penultimo e ultimo atto di questo lunga serie, sono le dichiarazioni del nuovo candidato plenipotenziario (il tedesco Ralf Rangnick) relativamente alla parte tecnica, e la risposta del direttore in carica, un certo Paolo Maldini che con suo padre Cesare e il figlio Daniel (19 anni e una presenza in serie A) hanno legato il loro cognome a metà della storia rossonera, 60 anni su 120.

Rangnick confessa: “Sì, ci stiamo parlando con il Milan, fa parte della stretta rosa di società in cui potrei lavorare. L’avventura mi piace”. Maldini replica: “Prima dell’italiano impari l’educazione. Parlando di un ruolo con pieni poteri gestionali, invade le zone in cui stanno lavorando professionisti (…) i quali, malgrado le tante difficoltà, si stanno impegnando a fondo cercando di finire la stagione nel modo migliore”. Maldini conclude chiarendo che la proprietà non lo ha mai informato circa la trattativa con Rangnick.

Non bastassero i teatrini squallidi del calcio, impegnato solo a rincorrere la riapertura del campionato attraverso approssimativi e lacunosi protocolli di sicurezza (per redigere i quali non sono bastati tre mesi di “riflessioni”), a mortificare i tifosi rossoneri si susseguono bastonate mediatiche di ogni tipo, oltre a quelle sul campo.

Il “progetto” del Fondo Elliott resta ancorato all’anno zero: prevedeva la costruzione di uno stadio di proprietà, trasformatosi in comproprietà (con l’Inter, caso unico, ma siamo in Italia: ci sta…) e l’allestimento di una squadra competitiva. Due dogmi ancora fermi lì, sulle carte e nelle ipotesi, nonostante nel frattempo se ne siano andate altre decine e decine di milioni in calciatori o presunti tali, cambi dirigenziali e cambi di tecnici. Ultimo l’attuale, mite tecnico Stefano Pioli che – grazie anche al ritorno dell’inossidabile Ibrahimovic – stava cercando di far crescere qualcuno dei molti sbarbati e ridare almeno una parvenza decorosa alle prestazioni della squadra.

Maldini è l’ultima cambiale di affezione rimasta in mano a tifosi (e il giocatore più rappresentativo, Gigio Donnarumma) frustrati e disorientati: la sua sola presenza nei quadri rappresenta una specie di garanzia rispetto agli sviluppi del progetto, per quanto faticoso e nebuloso sia il cammino. Si è esposto con coraggio, anteponendo l’interesse del club al proprio e schierandosi al fianco di chi, come lui, al Milan ci sta già lavorando adesso.

Per quanto indelicato, Rangnick aveva tutto il diritto di raccontare pubblicamente i suoi piani futuri. Il problema è invece la proprietà, che non ha mai esercitato in 3 anni il diritto proprio di spiegare come stanno le cose, delegando per questo l’amministratore delegato Ivan Gazidis, il quale ancora non parla bene l’italiano.

Per quanto triste e amaro, sembra vicino il momento in cui anche Paolo Maldini se ne andrà sbattendo la porta come hanno fatto prima di lui, appunto, Leonardo, Gattuso e Boban. E per i proprietari, la famiglia Singer, diventerà sempre più difficile trasmettere il messaggio che #andràtuttobene. Soprattutto se continueranno a stare in silenzio.

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