Non dirò nulla del film, che narra una storia familiare, eccetto che il problema del giovane paziente di Hirsch è quello di essere… sopravvissuto.
La colpa della sopravvivenza anche quando, come quasi sempre, avviene senza alcuna colpa o merito, per caso fortuito o naturale dato anagrafico, è nonostante tutto una delle colpe più potenti che essere umano possa sperimentare. Colpa reale o immaginaria, quella di sopravvivere a qualcuno che si è amato è un’esperienza dolorosa, che può divenire fonte di un malessere duraturo. Il dolore per una perdita, per meccanismi psichici inconsapevoli, si trasformarma spesso in un vissuto di colpa.
Il torto del sopravvissuto è quello di continuare a vivere. Scoprire nel tempo, quasi con rammarico, che si è ancora capaci di gioire, di divertirsi, di provare piacere. Questo processo ha una matrice biologica ben precisa, funzionale appunto alla sopravvivenza, ma noi poveretti possiamo semplicemente avvertirla come una colpa, così come non tolleriamo che la memoria sbiadisca, che i ricordi sfumino o si allontanino, che i pensieri prendano altre direzioni.
Per me la soluzione, per così dire, comincia dal tentativo di conoscere un po’ meglio cosa è un essere umano, ovvero un congegno bio-chimico e culturale straordinario, ma a cui manca un assoluto controllo di se stesso. Bisogna accettare la nostra natura profonda. E, tornando al mio lavoro, uno dei modi possibili per lenire il dolore è raccontarlo, semplicemente condividerlo.
Viva la vida, amigos.