SE LA SCUOLA ITALIANA SI BUTTA ANCHE NELLA CACCIA AL MASCHIO

In Norvegia, su cento maestri elementari, ottanta sono maschietti e solo venti femminucce. In Italia, le maestre sono il 95%. Questo dato ha fatto lanciare un allarme nel mondo della scuola, tanto da produrre la bestialità ultima massima: la proposta delle “quote azzurre”.

Devo dire che, in vita mia, di cretinate, a proposito della scuola, ne ho sentite tante: sembrerebbe che più un’idea è balzana e più attecchisca tra gli insegnanti. Questa della caccia al maschio, però, mi pare superarle tutte e dimostra, casomai ce ne fosse stato bisogno, come si affrontano le questioni alle nostre latitudini. Perché uno mica si domanda come mai in Scandinavia sia così in voga fare il maestro elementare: ci si limita a constatarlo e a cercare di porre rimedio al deficit all’italiana. Ossia con una manovra tampone: riserviamo agli uomini un po’ di posti e vedrete che la situazione muterà. Insomma, anziché cercare la causa del problema e affrontarla, si preferisce lavorare sugli effetti.

Perché, evidentemente, il punto è la scarsa appetibilità per un uomo della professione docente: e massime nelle scuole primarie. Sorvolo sul fatto che, forse, culturalmente, il virilissimo maschio italico tenda a vedere la figura del maestro come lesiva della propria autorevolezza da maschio alfa: da noi, effettivamente, la maestra funge un po’ da vice-mamma, mentre, presso popoli un filo meno mammoni di noi, le cose vanno diversamente. Credo, tuttavia, che la vera questione sia quella economica e sociale: un maestro elementare guadagna davvero poco, all’interno di un comparto, quello della scuola, genericamente poco retribuito.

Provate ad andare a vedere quanto porta a casa, in Norvegia, un maestrino di primo pelo: quelle cifre, da noi, le becca un ordinario universitario. Ergo, ben difficilmente un uomo sarà attratto da un mestiere pagato con stipendi da fame e, per di più, non precisamente prestigioso appo il volgo. Voi mi direte: vabbè, ma perché per le donne dovrebbe essere diverso? Cari miei: siamo in Italia, non ve lo dimenticate. Le maestre, per solito, sono anche mogli e lo stipendio che portano a casa è, per così dire, una sorta di denaro integrativo, rispetto a quanto alza mensilmente il capofamiglia, che, spesso, è un professionista o un funzionario. Il fenomeno dell’insegnante donna che lavora per il piacere di farlo o quasi, mentre le palanche provengono da un’altra parte, è diffusissimo nella scuola, a tutti i livelli. E chi lo nega mente sapendo di mentire: le sciurette sono il sale della pubblica istruzione. I maschi, invece, ben difficilmente sono mariti di notaie o avvocatesse: questo fa di loro una categoria impossibilitata a partecipare decorosamente al concerto sociale. In buona sostanza, le maestre sono sovente mogli di uomini benestanti, mentre i maestri sono dei poveracci tout court.

E, allora, poveraccio per poveraccio, tanto vale fare l’operaio, dove, perlomeno, nessuno ti rompe le scatole con la burocrazia, la didattica e tutto il repertorio scolastichese, che il diavolo se lo porti!

Questo, anche se potrà non piacere, è lo stato delle cose. Perciò, se volete che i maschi scelgano la carriera di maestro elementare, vedete un po’ di renderla loro accessibile e appetibile. E’ inutile andare sempre a fare confronti a pera con situazioni che, antropologicamente, prima ancora che socialmente, non hanno niente a che fare con la nostra: in Norvegia, non credo che qualcuno possa vergognarsi nel confesssare, a cena con qualche bella fanciulla, di essere un maestro elementare. Da noi, state tranquilli che accade.

Eppure, insegnare ai bambini, introdurli alla cultura, alla civiltà, alla vita, dovrebbe essere mestiere tra i più nobili. E’ solo colpa delle intollerabili sperequazioni economiche di questo Paese se questo viene percepito come una scelta sgradevole e sgradita. Cominciamo a pagare bene maestri e professori e, magari, a pagare un po’ meno altri settori del pubblico impiego, e vedrete se gli uomini continueranno a snobbare la scuola primaria. E’ che, da noi, piuttosto che ammettere gli errori pregressi e cercare di porvi rimedio, si preferisce inventare sempre nuove trovate, che costano, senza risolvere. Come le quote azzurre, che fanno il pari con le quote rosa: entrambe indicano semplicemente la quota raggiunta dall’italica demenza. Amen.

Un pensiero su “SE LA SCUOLA ITALIANA SI BUTTA ANCHE NELLA CACCIA AL MASCHIO

  1. Lorenzo dice:

    Un articolo scritto da una femminista che accetta le quote rosa ma rifiuta le quote azzurre. La solita grande menzogna del femminismo che lotta per la parità di genere, biugia.

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