PERCHE’ SIAMO TUTTI DOTTOR PROCACCI

Vogliamo, per una volta, fare del populismo che possa davvero dirsi sano? Impresa difficilissima, ma l’occasione ci è offerta dalla lettera che il dottor Vito Procacci, già direttore del Pronto soccorso al Policlinico di Bari, ha indirizzato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Certo, c’è gente che scrive a Mattarella ogni due per tre, così come una volta si faceva ai direttori dei giornali e al Mago Zurlì, tuttavia in questo caso il dottore aveva qualche buona ragione per prendere carta e penna. Per l’esattezza, 27.100 ragioni. Tale è infatti l’ammontare della sanzione ricevuta dall’Ispettorato del lavoro per aver ecceduto l’orario di lavoro durante il periodo della pandemia di Covid 19. Proprio così: l’Ispettorato del lavoro punisce chi lavora troppo, persino in emergenza, e si presume pretenda per questo di venire pagato, anche se tale lavoro risulta nel salvataggio di vite umane. La burocrazia, si sa, umana non è: procede su binari d’acciaio, quelli dell’interpretazione della regola, e in questo l’umanissimo dottor Procacci è certamente in fallo.

Dunque, se l’Ispettorato del lavoro è un braccio – certamente non una mente – di quello Stato che in tal modo tiene in considerazione il lavoro altrui – un lavoro, ricordiamoci, indispensabile e, anzi, in quella difficile stagione, provvidenziale -, giustamente il nostro medico ha pensato bene di rivolgersi al livello più alto. Anche perché nel comportamento dello Stato ha individuato non solo una stortura, ma una contraddizione. Elogiati – e giustamente premiati – dalla Presidenza della Repubblica per il loro impegno duranti le fasi più drammatiche della pandemia, medici e personale sanitario tutto si vedono ora direttamente e indirettamente puniti da una sanzione erogata con l’arrogante e indiscriminante automatismo tipico dei burocrati. Scrive Procacci a Mattarella: “Le affido tutta l’amarezza, la delusione e lo sgomento per il trattamento ricevuto da uno Stato che amo, ma nel quale oggi faccio fatica a riconoscermi”. Parole, quasi, da uomo a uomo, anzi da galantuomo a galantuomo, da servitore della collettività a servitore della collettività. C’è il caso che, per una volta, vadano a segno.

Diciamo allora, per tornare al populismo di cui sopra, che se il dottor Procacci non solo volesse non essere multato per le ore straordinarie di lavoro, ma pretendesse pure di essere remunerato, ebbene quel denaro pubblico avrebbe certamente miglior destinazione di quello speso per finanziare tanti sgangherati individui che occupano gli scranni del Parlamento e del Consigli regionali. Almeno, Procacci – cartelle mediche alla mano – può dimostrare di aver fatto, letteralmente, del bene agli italiani. Di parecchi onorevoli e senatori non si può dire altrettanto.

E se, infine, l’idea di scambiare denaro in cambio della missione umanitaria alla quale si consegna chiunque sottoscriva il giuramento di Ippocrate facesse schifo a qualcuno, sarà bene ricordare le parole scritte in merito decenni fa da Ayn Rand, scrittrice e filosofa scorbutica e controversa, oggi volutamente dimenticata perché a certe sue asserzioni (non tutte) è scomodo e difficile rispondere.

“Il denaro – scriveva Rand ne “La rivolta di Atlante” – è il barometro delle virtù di una società. Quando vedi che il commercio non viene fatto per consenso ma per obbligo, quando vedi che per produrre occorre ottenere un permesso da chi nulla produce, quando vedi che i soldi arricchiscono chi commercia non in beni ma in favori, quando vedi che gli uomini si arricchiscono tramite la corruzione e la prepotenza piuttosto che con il lavoro, e che le leggi non ti proteggono da loro, ma proteggono loro da te, quando vedi premiata la corruttela e l’onestà diventare un sacrificio, allora saprai che la società in cui vivi è condannata”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *