RIVERA DA GOLDEN-BOY A NO-VAX: IL MIO MITO IN FRANTUMI

di MARIO SCHIANI – Sanguina, qui, un vecchio cuore rossonero. Voi direte: e a noi che ce ne cale? Niente, se non che il cuore summenzionato è il mio e siete pregati di avere un minimo di considerazione. Non sanguina, la fedele pompa, a causa del secondo posto in campionato (ci mancherebbe), né per l’addio di Donnarumma (ci mancherebbe bis): trattasi di un trasudare laterale, parallelo se volete, a causa del rumoroso incrinarsi di una figura che i milanisti di lungo corso vorrebbero sempre integra a sfida dei secoli.

Tradotto in volgare: Gianni Rivera ha detto una cavolata e questo mi dispiace. Non l’ha detta parlando di calcio e neppure di sport in generale, ma di vaccini: in questo periodo è cosa grave. Io il Gianni me lo ricorderò sempre sul campo a distribuir palloni con grazia felpata, mentre il resto della squadra – e segnatamente l’eroico Lodetti Giovanni – correva per lui. Uno così, pensavo, non può aver difetti. E invece, col prosieguo della vita più che della carriera, qualche sbavatura di tanto in tanto è saltata fuori. Mai però sfacciata come quella esibita sere fa a “Porta a Porta”.

Ci sarebbe da commentare, per prima cosa, l’aspetto generale con cui si è presentato alla trasmissione di Bruno Vespa, simile al Gianni Rivera originale quanto Martufello & C. assomigliavano ai politici di cui facevano l’imitazione ai tempi del Bagaglino. Tuttavia, nonostante ognuno sia in qualche modo responsabile della sua faccia – lo diceva Camus, mica Scanzi -, non si può far carico a Rivera di colpe per il tempo che passa. Per la misura delle frasi che pronuncia in televisione però sì. Alla domanda “Ti sei vaccinato?”, l’ex Golden Boy ha risposto secco: “No e non ci penso proprio.” E perché mai? “Perché ho delle notizie negative, qualcosa già si sente. Qualcosa si sa o si viene a sapere. E alcuni virologi dicono proprio di evitare.” Infine, la sublime chiosa: “Ho fatto il tampone stamattina ed è risultato negativo, io sono tranquillissimo.”

In studio è calato il gelo. Forse perché nessuno, nonostante il contesto televisivo, se l’è sentita di abbassare il volume della sua intelligenza al punto da articolare una risposta appropriata. Il sottoscritto, che in questo non ha mai avuto problemi, ci prova dicendo che ci si vaccina proprio quando si è negativi per evitare di diventare positivi e poi che questa cosa del “sentito dire”, delle notizie che “si vengono a sapere”, è ormai di una tristezza infinita e si spera finisca presto relegata ai soli maniaci del commento gratuito e anonimo, ai tuttologi della tastiera come alternativa al più salutare esercizio masturbatorio.

Il fatto è che sui vaccini quel che c’è da sapere si sa: pro e contro sono tutti lì, da leggere e imparare per chi è in grado di informarsi. Sappiamo che non sono pozioni magiche, ma sappiamo anche che sono armi decisive per uscire dalla pandemia. Ci confondono le idee con AstraZeneca prima sì e poi no, ci insinuano dubbi con il cocktail di vaccini diversi, ma, di base, resta il concetto della validità, medica e sociale insieme, di questa profilassi.

Il virologo Roberto Burioni, che è simpatico come una vespa nel casco quando si guida la moto, ha ridotto l’intervento di Rivera quasi a uno slogan: “Campioni nello sport, ma babbei nella vita”. Troppo? Molti penseranno di sì: poteva esprimere lo stesso concetto senza ricorrere all’insulto. Si può per questo dargli torto? No.

Rivera, famoso per gli assist al millimetro, stavolta ha “spropositato” il tiro: pallone in tribuna. Il problema è che, lì, qualcuno potrebbe raccoglierlo e farne tesoro.

Davvero un peccato per il tempo che passa, perché se lo studio di “Porta a porta” fosse stato San Siro, all’intervallo, Nereo Rocco avrebbe potuto rimettere in riga Rivera come era uso fare con i calciatori colpevoli di un deludente primo tempo: “Testa de gran casso ti e anche quel che t’ha messo in squadra”.

 

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