QUELLO CHE S’E’ CAPITO DI CERTA DISOCCUPAZIONE

di JOHNNY RONCALLI – Il lavoro mobilita l’uomo, lo rende vispo, attento, con le antenne sintonizzate per captare le offerte. E l’uomo che il lavoro non ce l’ha ancora più all’erta dovrebbe stare, così dice la logica.

Da anni ci viene detto che il lavoro non manca, da anni ci viene detto che mancano i lavoratori, perché vuoi per un motivo, vuoi per l’altro, quando è il momento delle possibili assunzioni si verifica un fuggi fuggi, uno sforzo umanitario, per lasciare con grande altruismo l’incarico lavorativo all’altro, o all’altro ancora.

I motivi, ci viene raccontato, sono vari e forse pure veri: certi lavori non li vuole fare più nessuno, il trattamento economico è da fame, le condizioni contrattuali non sono rispettose, il reddito di cittadinanza che avrebbe indotto molti a mettersi l’animo in pace, che in fondo si sta bene anche così, salvo poi arrotondare in nero.

Poi arriva la Sammontana, quella dei gelati, che offre 350 posti stagionali e si ritrova con 2500 richieste. Quindi?

La retorica di adesso consiste nello smontare la retorica di prima, quella che vorrebbe appunto i disoccupati sottrarsi quando si presentano effettive opportunità. La retorica di adesso ci dice che in realtà quando le condizioni sono buone e il trattamento rispettoso i disoccupati accorrono. La retorica di prima, ci dice, era falsa e poco accurata nel descrivere in cosa consistesse effettivamente l’offerta.

Sono scettico nei confronti della retorica di adesso. Sono certo che la Sammontana offra condizioni adeguate e corrette, ma è verosimile che tutte le offerte inevase che hanno edificato la retorica del prima fossero inadeguate e irrispettose? È credibile?

Non credo l’analisi possa essere affidata esclusivamente al vento corrente. Può essere che abbia influito la stagionalità, paradossalmente? Del tipo, va bene, lavoro un po’, ma non esageriamo. Esagero un po’ anch’io, lo so bene, ma rimango convinto che in fondo una certa dose di buona volontà a rimboccarsi le maniche, magari facendo una sana e proverbiale gavetta, non sia una dotazione così scontata.

Un sindacalista mi lancerebbe pietre se sentisse questo, ma sono altresì convinto che si possa iniziare a lavorare, parlo soprattutto dei giovani naturalmente, anche se le condizioni non sono ideali, anche se la paga non è proprio congrua, anche se proprio tutti i diritti non sono rispettati per filo e per segno. Lo abbiamo fatto tutti, consapevoli che poi le cose avrebbero dovuto cambiare e nel corso del nostro percorso lavorativo assestarsi.

A volte si prende quel che c’è, se c’è effettivamente il bisogno, senza che questo in alcun modo suoni giustificativo nei confronti di chi sfrutta o proponga condizioni non proprio idilliache.

Con alcuni colleghi, tanti anni fa, rimanemmo per due anni e mezzo in attesa di un compenso che pareva non arrivare mai. Non eravamo eroi, ma credevamo nel nostro lavoro e credevamo che a un certo punto le cose si sarebbero sistemate, come in effetti accadde. Sia pure dopo frustrazioni e arrabbiature infinite, sia pure più giovani e con meno incombenze economiche di quelle attuali.

Non so dove stia la verità, ma so che un racconto veritiero non sta tutto nell’adesso e non sta nemmeno tutto nel prima, proprio per la retorica definitiva che pretendono di avere.

So che lavorare stanca, questo so e so anche che la retorica in un batter di ciglia si trasforma in cultura, ad esempio in cultura dell’insoddisfazione, fin da subito. Anzi, fin da prima.

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