di CRISTIANO GATTI – Caro ct Mancini, terrò questa corrispondenza che lei non leggerà mai più che altro per sentirmi davvero uno dei famosi sessanta milioni di commissari tecnici italiani, in attesa che diventino prima o poi sessanta milioni di italiani.
Al suo posto, io già a colazione avrei radunato gli azzurri in una saletta del ritiro per dire subito questo: ragazzi, bene così, però il primo che ci crede davvero lo attacco al muro. Là fuori, tra giornali e telegiornali, è già un delirio di esaltazioni e di superlativi. Situazione fuori controllo. Abbiamo letto titoli psichedelici, uno tra gli altri: “Berardi-Immobile-Insigne: l’Italia ha trovato il tridente d’oro” (“La Gazzetta”). E pazienza se il primo gol, decisivo per superare l’incartamento generale, l’ha fatto un turco al suo portiere. E pazienza se un altro gol ce l’ha apparecchiato il portiere stesso, regalandoci il pallone. Almeno, per decenza, diciamo che il nostro non è un tridente, ma un pentadente, perchè si sono mossi da fenomeni azzurri anche quei due turchi.
Ma non basta l’analisi tecnica. Il Paese va subito oltre, tracimando di retorica al Sangiovese. Si leggono e si ascoltano cose che neanche dopo il 25 aprile: “Questo 3-0 può essere un simbolo di ripartenza e di ritorno alla normalità dopo uno dei periodi più bui della nostra storia recente” (Andrea Di Caro).
Porca miseria, quanta roba. Parole enormi. Però io sinceramente mi sono un po’ rotto le scatole di questo collegamento metafisico tra squadra di calcio e destino civile, tra Nazionale e Nazione: proprio non lo capisco, meno ancora lo accetto. La Nazionale faccia quello che deve fare, la Nazione faccia il suo. Se pensiamo davvero che la nostra riscossa arriverà da qualche gol in più, magari da un trofeo in più, significa davvero che siamo poca cosa, come Paese. A me piace sognare che la Nazione cammini sulle proprie gambe, riscattandosi con la scuola, l’educazione, il lavoro, il Pil, l’arte, la cultura, la ricerca, la responsabilità individuale, eccetera eccetera, tanto meglio se poi arriva anche una vittoria sportiva, sarà quello il momento di evadere un po’ dalla realtà e concederci un giusto ritaglio di svago. Parallelo, a latere. Ma questa idea di identificare l’andamento degli azzurri con l’andamento della collettività, per favore, soffochiamola in culla, una volta per tutte. Lasciamola perdere. Chiedo: ma se per disgrazia la nostra Nazionale finisce male, cosa dobbiamo pensare, che l’Italia intera è già fallita prima ancora di rimettersi in piedi? Patti chiari amicizia lunga: se vale l’identificazione tra calcio e società civile, vale anche in caso avverso. Ma non mi sembra una cosa seria.
E comunque, caro ct: sempre riuniti nella saletta del nostro ritiro, io direi ai miei giocatori di stare belli tranquilli. La vittoria sulla Turchia non vale tutto questo frastuono. Il delirio sta montando più per la voglia arretrata di buttarci nelle fontane e di vivere notti magiche, che per effettiva portata del trionfo. Non è ancora il momento di fare i matti. Ci sarà modo, ma non adesso. Non così. Non dopo questa vittoria. Diciamolo onestamente: questi turchi saranno molto maschi nel negare una sedia alle donne, ma all’Olimpico tutta questa cattiveria nessuno l’ha vista. Si sono chiusi in area e da lì non si sono più schiodati. L’idea di andare dall’altra parte a svegliare Donnarumma non è mai passata per il loro cervello. Ed è tutto qui.
Ragazzi, direi agli azzurri, questa è la verità. Bravi voi ad aver inflitto alla Turchia l’umiliazione che è andata a cercarsi giocando in quel modo ridicolo, ma fermiamoci qui. Questa partita non autorizza una simile esaltazione. Guai a voi se ci credete.
Caro ct Mancini, abbiamo invece sentito che lei, alla fine della partita, ha detto queste testuali parole: “La Turchia è un’ottima squadra”. Senza offesa, glielo dico lealmente, come ct parallelo e alternativo, uno dei sessanta milioni che prenderebbero tranquillamente il suo posto: mi sembra una bella asinata. Se la Turchia che ha giocato all’Olimpico è un’ottima squadra, io sono premio Nobel per la medicina.
Dirà lei: bisogna consolidare la nostra fiducia, dobbiamo accrescere l’autostima. Occhio, però: tra autostima e vuota vanità c’è giusto un passo, non di più.
Per questo, non la seguo. Io, nella saletta, davanti ai miei giocatori, chiuderei con parole più scarne: ragazzi, cancellate subito la Turchia, sa molto di fiction. Siamo l’Italia, per fortuna sappiamo bene cosa siano i trionfi veri. Non abbiamo fatto niente, è ancora tutto da fare. Rientrate sul pianeta Terra e pedalare. Disgraziatamente, non si gioca sempre con la Turchia.
Egr. Dott. Cristiano GATTI ,
La sue considerazioni mi trovano del tutto d’accordo.
S’impone però un distinguo.
Ho nel cuore il Ciclismo , e per il calcio una fedeltà nei secoli per l’INTERNAZIONALE. Così si diceva quando..SARTI , BURGNICH ,FACCHETTI … e via di figure mitologiche.
Millennio scorso , fino a lì ci arrivo da solo.
Se proprio si vuole, a significarne quanto sia davvero vicino alla gente,il Ciclismo offri’ un esempio concreto , lampante ed incancellabile d’identificazione con la società : correva l’anno 1948 , il Paese ribolliva nella contesa politica post bellica dopo che un idiota aveva pensato bene di risolvere la questione attentando alla vita di Palmiro Togliatti, e si sostiene che Gino BARTALI , un Campione inimitabile anche come uomo, a dieci anni dal suo precedente trionfo a Parigi, in maglia gialla al TOUR salvò la baracca , evitando una sanguinosa guerra civile .
Qui c’è poco da discutere: parlano i fatti , ed e’ Storia.
Non chiacchiere da Bar , con tutto il rispetto sia per i baristi che per i relativi avventori travestiti da Commissari Tecnici pedatori.
Per il resto , siamo ormai avvezzi a …cose Turche , in ogni ambito .
Dimenticavo : se vera , la retorica è un’arte sopraffina.
Altrettanto degno di stima reputo un buon Sangiovese.
Non mescoliamo le cose, per favore.
Cordialmente.
Fiorenzo Alessi