RAGAZZI, IO VI ACCUSO: VOI E CHI VI ASSOLVE SEMPRE

Meno male che c’è Nomisma a snebbiarci le idee: altrimenti come avremmo fatto ad accorgerci che stiamo tirando su una generazione di bulletti, fannulloni e pieni di paturnie? In effetti, senza l’imprescindibile contributo di quella poderosa accolita di mastri pensatori, di cui Romano Prodi è l’eponimo e la metafora, ci saremmo crogiolati nell’idea, sbagliatissima, di una scuola che sforni soltanto stakanovisti, ultramotivati e dall’educazione impeccabile. Invece, guarda un po’, scopriamo che la scuola italiana sta producendo un rapido disastro generazionale: sta sfornando incapaci, sociopatici e ignoranti. Davvero, chi l’avrebbe mai detto?

Per esempio, l’avrei detto io, che, ultimo e mignolo, ho dedicato, quindici anni fa, uno smilzo libretto di trecento pagine alla catastrofe educativa, oltre a qualche centinaio di articoletti sulla peculiare questione. E, come me, qualunque insegnante dotato di un minimo di sale in zucca avrebbe potuto stilare un’accurata ed accorata requisitoria sullo sfacelo che è diventata la scuola italiana, senza bisogno di scomodare Nomisma o altri, titolati quanto superflui, istituti di ricerca. Che, per inciso, provengono dalla medesima brodazza che ha prodotto il disastrino: brodazza che privilegia l’elucubrazione rispetto al semplice buonsenso e che complica sistematicamente, con l’utilizzo di pittoreschi polisillabi, una realtà che sarebbe evidente a qualunque zappaterra.

Perché le risposte sono semplicissime: talmente semplici e banali da suscitare una smorfia di compatimento nei superesperti: categoria benemerita, che, a colpi di raffinate analisi a pera e mastodontiche scemenze, ha messo in ginocchio questo povero Paese. Sono certo che la semplice saggezza di mia nonna Gilda, rezdòra emiliana vecchio stile, avrebbe rappresentato una cura mille volte più efficace delle millanta teorie barbine di questi PhD dei miei stivali. Davvero è tutto semplice: tutto enormemente meno complesso di come viene presentato al volgo.

I ragazzi non leggono, non scrivono, non comunicano, non sanno. Grazie tante: passano il tempo attaccati al cellulare! I genitori glielo regalano alle elementari, non si sa bene se per sembrare brillanti o per sostituire la tata a prezzi vantaggiosi: e loro ci si attaccano, ci giocano, ci guardano ogni boiata possibile e immaginabile, lo utilizzano senza il minimo filtro. E, poi, a scuola, non conoscono disciplina né riconoscono autorità: nessuno che li ribalti quando sgarrano, nessuno che li alzi da terra quando si comportano male. Piuttosto, recuperi su recuperi per i somari e lavori socialmente utili per quei pochi che sono stati tanto fessi o sfortunati da farsi sospendere: e, credetemi, ce ne vuole.

In classe, si distraggono e si occupano dei fatti loro, perché gli insegnanti hanno rinunciato a perseguire i comportamenti sbagliati: sanno che, tanto, alla fine, nessuno pagherà. E lo sanno anche i ragazzi, che hanno introiettato il diabolico assioma secondo cui, che tu lavori o no, che tu sia corretto o meno, prima o poi il diplomino te lo porterai a casa. Ve lo ricordate il sei politico, primo passo verso l’abisso? Ecco, oggi non si chiama più così, ma esiste un sei istituzionalizzato: un sei sociale, antropologico, se non più politico.

A forza di ‘vietato vietare’, a forza di ‘siamo tutti uguali’, a forza di diritti senza doveri, di premi senza gara, di guiderdoni senza fatica, ci siamo ridotti così: con questi ragazzetti antipaticamente sprezzanti, ignoranti come capre, pieni di presunzioni ereditate dalle loro famigliole, insieme all’idea che tutto sia loro dovuto. Non si capisce in virtù di quale decisione divina.

Certo, si annoiano: e vorrei vedere! Chiunque si annoierebbe a non fare un tubo per sei ore al giorno, più di duecento giorni all’anno. Volete mettere il frisson che ti dava l’interrogazione di greco o di matematica? Altro che noia: mancava solo la colonna sonora di “Profondo rosso”.

E sono aggressivi, semplicemente perché non sono aggrediti: l’aggressione è parte degli istinti umani e, se nessuno ti tocca, ti verrà da pensare che lo faccia perché sei un caballero pericoloso e potente. Specialmente se l’antagonista è un tremebondo professoretto, sottopagato, umiliato, scarso di torace e ancor più scarso di carattere: così non essere aggressivi pertiene alla sfera della santità individuale.

E mia nonna Gilda non si limiterebbe a scuotere la bella testa, un tempo bionda: darebbe anche qualche illuminato suggerimento, dritto dritto dall’altro secolo. Anzi, da quello prima ancora. Due belle pappine, del tutto scorrette educativamente, ma utilissime nel recupero dei reprobi. Una sapiente bocciatura, senza troppe storie, per chi non fa un tubo; e basta con questi recuperi, che, ormai, hanno sostituito la didattica. Eliminare i Decreti Delegati: che i genitori se ne stiano al loro posto e smettano di sindacare a vanvera sull’operato della scuola. E compiti a casa, interrogazioni stringenti, note e sospensioni laddove necessitino.

Insomma, bisognerebbe che la scuola tornasse a essere scuola e non una cosa a mezzo tra il circo equestre e la clinica psichiatrica. E, allora, vedreste che sgambare, i nostri annoiati, sfiduciati, aggressivi giovanotti: correrebbero come lepri. Ma dire queste cose non si può: la difesa della vulgata non lo permette. E, sapete che vi dico: chissenefrega, viva la libertà! E abbasso Nomisma, naturalmente…

3 pensieri su “RAGAZZI, IO VI ACCUSO: VOI E CHI VI ASSOLVE SEMPRE

  1. Gastone Breccia dice:

    Purtroppo hai ragione. E anche all’università stiamo andando sulla stessa strada…
    Per questo io mi dedico tanto allo sport: almeno lì, se non lavori, il “diplomino” non arriva…

  2. Cristina Dongiovanni dice:

    Che la colpa non sia loro, e non lo è, non è proprio un dettaglio. Il peperone è lo stesso, è il ripieno che cambia….e per rimanere nel tema culinario, faccio un piccolo esempio, banale ma efficace. Ho proposto ad un gruppo di amiche una piccola iniziativa. I ragazzi undicenni per un giorno si daranno alla cucina aiutati dalle mamme e prepareranno un pranzo che poi verrà condiviso, papà compresi. Ho proposto che il menu non venisse rivelato e che i gruppi non fossero composti da madre e figlio ma che si creassero per estrazione, dunque madri assegnate a figli diversi, non i loro (o anche) con i piatti assegnati sempre per estrazione. Lentamente le mamme hanno corretto il tiro: i piatti verranno rivelati in anticipo, i figli staranno con le madri che potranno scegliere i piatti per prepararsi meglio. Nessun mistero, tutto preparato, tutto protetto, tutto perfetto. Aggiungo una spezia tecnologica, il cellulare viene regalato a circa 11 anni appunto, quando i figli iniziano le medie, altrimenti rimangono “fuori”, non si integrano, soffrono la loro “diversità”. Ditemi voi, ditemi come si esce da questo loop. Io al momento resisto ma sono considerata, con il marito, vecchia, intransigente, antiquata. Non è facile, vi assicuro, procurarsi degli amici “zappaterra” ed un ambiente rurale stile ottocento alle porte di Milano che dia ragione, sproni alla fatica e lasci i sensi di colpa sotto il cuscino perché non sa neppure di doverli indossare. Non è facile e direi non auspicabile, visto che forse, mi permetto, altre sarebbero le deficienze ideologiche e che si porterebbero appresso. Tutto molto complicato, e la maledetta comunicazione di cui siamo pregni fino al collo non aiuta.

  3. Elisa Paravati dice:

    La situazione è proprio quella descritta, ma c’è un altro punto nodale: le famiglie. Oggi non si sa come fare i genitori. Esiste un alterato senso di convivialità che porta quest’ultimi a sentirsi “gli amici dei giochi”. Quello che non accade a scuola, non accade neanche a casa. Lo spaccato è quello del ragazzo “disturbato”, e qualcuno lo è; oltretutto sfornando profili patologici anche, a volte, difficili da diagnosticare. E sono d’accordo sulla critica ai cellulari che sono diventati l’espressione del “guarda quanto ti voglio bene”, a supporto della incapacità di essere genitori autorevoli e affettivamente assenti. La scuola alla fine è una parte di un sistema disfunzionale che sta operando a più livelli…. Staremo a vedere, forse, dov’è il fondo…

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