DEDICATO ALLA PADRONA DEL CANE METEORITE

L’eventualità che ti caschi un cagnolo dalla finestra è, per la verità, piuttosto remota: che il medesimo cagnolo centri un’incolpevole passante, poi, rappresenta un caso più unico che raro. Che poi questa passante sia incinta, diventa praticamente irripetibile.

Già questo, dunque, farebbe la fortuna del cronista e potrebbe essere raccontato come una curiosità divertente, se non presentasse risvolti drammatici: la morte dell’animale e il ferimento della passante, in primis. Quel che, però, ha colpito la mia attenzione e, spero, il vostro interesse per il mio articoletto, è la reazione della proprietaria del cagnolo, che mi pare assai più rilevante, antropologicamente, del fatto in sé e per sé.

Dunque, premettiamo che di persone che, a vario titolo, tendano a confondere gli animali con gli esseri umani è, purtroppo, pieno il mondo: quella di attribuire alle proprie bestiole da compagnia o, se preferite, d’affezione, caratteristiche molto simili a quelle che dovrebbe possedere la prole, è una patologia assai diffusa ai nostri giorni. E passi se questo accade in persone o coppie che, per i più vari motivi, non hanno potuto riprodursi: il disavanzo affettivo, in qualche modo, va risolto e, anche se riterrei più nobile adottare un pargolo, il transfer bambino-animaletto è comprensibile, anche se non giustificabile.

In senso lato, tuttavia, mi pare un’aberrazione chiamare i propri animali “bambini”: anzi, a dire il vero, anche altre forme più o meno vezzeggiative, come “pelosetti” e simili mi inducono un certo senso di nausea. Tant’è: viviamo un’epoca di palesi controsensi, di perversioni del reale, di ribaltamento dei ruoli e dei valori, e non è certamente questa vocazione a chiamare “bambino” uno spiacevole pechinese il peccato peggiore.

Il caso della signora, proprietaria del Rottweiler Cody, caduto in testa a una donna incinta, ferendola in modo serio, a Roma, mi pare trascenda la pur inquietante casistica riguardante i rapporti bizzarri tra uomo e bestia: qui siamo di fronte a una dichiarazione esplicita di confusione tra le specie, oltre che ad un esempio plateale di indifferenza per i destini altrui. Il povero Cody, mentre la padrona faceva la doccia, non si sa come nè perché, è precipitato sulla strada: affranta, la proprietaria ha affidato le sue considerazioni a un video, indirizzato all’animalista Enrico Rizzi, sia per difendere la propria gestione del cane, messa in discussione da molti, più o meno addentro le secrete cose, sia per pretendere giustizia.

Voi penserete che la signora abbia esordito dicendosi dispiaciuta per l’altra umana rimasta ferita: manco per sogno! Non una parola, nemmeno un plissé: unica preoccupazione della dama, la mancata salvezza del cane tuffatore (che non si capisce come avrebbe potuto realizzarsi) e il timore che le si possa togliere il nuovo cagnolino, preso al posto del caro estinto, adducendo una sua presunta incapacità gestionale. Morto un bambino se ne fa un altro, insomma.

Affari suoi, mi verrebbe da dire, se non fosse per questa patente indifferenza nei confronti dell’essere umano, contrapposta a un pathos da tragedia greca per il suo “bambino”, che mi rende, francamente, insopportabile lo sfogo. Perché, quando spiego ai miei studenti l’episodio pariniano della “Vergine cuccia, delle Grazie alunna”, stigmatizzo il totale ribaltamento della realtà, dipinto dal Parini nell’atteggiamento della dama, ma quella è letteratura, è pura antifrasi: oggi, siamo davanti al caso di una “vergine cuccia” che esce dalle pagine del “Giorno” per incarnarsi in via Frattina, a Roma. E c’è davvero una signora che parla di un cane dicendo che era il “suo bambino” e che vuole giustizia, se non vendetta, anche se non si capisce per cosa. E tu vendetta avesti, vergine ciuccia delle Grazie alunna

Questo è un mondo di matti, date retta a me.

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