QUELLI CHE VENGONO SEMPRE FRAINTESI

di JOHNNY RONCALLI – La Gruber, suo malgrado, ma più probabilmente con suo gaudio, manda in onda un sottile siparietto specchio dei tempi.

Il tema della puntata diventa l’incomunicabilità. Nientemeno. Uno parla, argomenta, spiega e di lì a pochi secondi scopre che non è stato capito. Oppure è stato travisato. Molto più probabilmente non si è spiegato. Non si è spiegato bene.

Sono le formule che utilizzano gli ospiti della Gruber. Paolo Mieli, Raniero Guerra e Andrea Crisanti, evocato in contumacia.

Paolo Mieli dice che nei panni di una coppia intenzionata a mettere al mondo una nuova creatura ci penserebbe due volte prima di sottoporsi al vaccino. Raniero Guerra chiama in causa la stampa quando si citano le dichiarazioni di Crisanti a proposito dei dubbi espressi sull’affidabilità dei vaccini a venire. Crisanti stesso esprime titubanza sull’efficacia dei primi vaccini, salvo poi specificare che lui non è certo un no-vax.

Ecco, ‘poi’ è la parola chiave. Io faccio un’affermazione, ma presumo che gli altri comprendano premesse, sottintesi, tesi, antitesi e soprattutto quello che intendevo ma non ho detto. Uso la prima persona in termini esplicativi perché io per primo subisco il fascino dell’ermetismo.

Però, se devi spiegare l’opportunità o meno di fare un vaccino che potrebbe salvare la vita, varrebbe la pena provare il discorso davanti allo specchio almeno un paio di volte prima di andare in onda.

Mieli dice che non è proprio quello che intendeva, Raniero Guerra che intendeva riferirsi a quello che la stampa ha riportato, non esprimere contrarietà verso la stessa, Crisanti si affretta a specificare che lui non è certo un no-vax, percependo forse l’impatto nefasto che le sue parole avrebbero potuto avere.

È la regola nelle dichiarazioni pubbliche, ancora più sui social. Quanti hater o diffamatori abbiamo ascoltato mentre sostenevano che non intendevano dire quello che hanno detto?

Perché dirlo quindi? L’ebbrezza della comunicazione, nel caso dei parvenu del circo mediatico. Ma nel caso dei nostri tre eroi il gioco non vale. Un rinomato giornalista, un’eminenza delll’OMS, un insigne accademico.

Così fan tutti del resto, affermazioni forti, decise, salvo poi specificare che non era quello che si intendeva dire, che si è stati travisati. Infine, a malincuore, che non ci si è spiegati bene, non a caso l’ultima possibilità presa in considerazione.

È però l’inflessibile legge dell’insegnamento, della chiarezza espositiva: se la classe non ha capito, a maggior ragione se tutta la classe non ha capito, significa che la spiegazione non è stata chiara. Punto.

Non si chiede l’umanesimo puntiglioso di Don Milani, per il quale se anche uno solo non capisce allora bisogna ripetere tutto in modo più chiaro. Una cosa però la si può chiedere, sicuri che sia alla portata di tutti: contare fino a dieci. O dodici, o ventidue, prima di parlare.

Nel caso, va bene anche il silenzio.

Me lo immagino così, il silenzio: un sottotitolo durante la trasmissione della Gruber: Paolo Mieli ha deciso di non partecipare alla trasmissione perché non riesce a formulare il proprio pensiero in modo chiaro e convincente.

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