CENTO VACCINI, UNA MOUNTAIN BIKE

di GIORGIO GANDOLA – “Io il vaccino a gennaio non lo farei, troppo pericoloso”. Fine degli entusiasmi. È bastato che un virologo rockstar come Andrea Crisanti suscitasse dubbi sull’efficacia dell’anti-virus cinese per eccellenza, che la canea è ricominciata. Tutti contro tutti, questa volta sull’opportunità di vaccinare il mondo con il rischio di misteriosi effetti collaterali. Vedersi uscire una protuberanza da un orecchio dopo l’iniezione non dev’essere piacevole. Crisanti insiste: “Normalmente ci vogliono dai cinque agli otto anni per produrre un vaccino. Questi di cui si parla sono stati sviluppati saltando la normale sequenza delle tre fasi. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo che dovesse arrivare a gennaio”.

La diffidenza è strisciante ma reale, un recente sondaggio ha scoperto che solo il 64% degli italiani sarebbe disposto a farsi iniettare il siero a scatola chiusa, pur nella necessità sanitaria di uscire definitivamente dall’incubo del Covid. Lo sguardo di sbieco deriva dal caos imperante, dalle polemiche quotidiane anche fra scienziati, dall’immagine ingiustamente appannata dei medici stessi, divisi fra eroi da corsia e timidi càmici da studio. E da qualcosa di più oggettivo, quindi meno contestabile: la corsa delle farmaceutiche a sbandierare il vaccino migliore come al mercato rionale.

Prima arrivò Pfizer (quelli del Viagra) con l’annuncio planetario: il nostro è testato al 90%. Boato liberatorio accompagnato dalla storia globalista e giuggiolona, quindi mediaticamente imperdibile, della coppia di ricercatori figli di immigrati turchi che salveranno il mondo. Guadagno in borsa alla notizia: 8% per l’azienda e 5,6 milioni di dollari per l’amministratore delegato, che al minuto uno della partita ha pensato bene di vendere due terzi delle sue azioni. Pare che agli amici che gli chiedevano perché tutta questa fretta, davanti a una birra si sia lasciato scappare: “Pochi, maledetti e subito”.

Sorpresi dall’uscita bomba, i concorrenti hanno impiegato poco a riaversi e nel giro di una settimana hanno sparato le loro cartucce. Ecco Moderna, azienda biotecnologica americana, con la news del giorno: “Il nostro è testato al 94%”. Allora anche il più sprovveduto dei lettori da divano ha capito che il soffuso e sterilizzato ambiente non diverge poi molto dal mercato delle vacche. Rimbalzo immediato di Pfizer: “Il nostro adesso è efficace al 95% e non ha effetti avversi gravi”.

Pur con un certo brivido nel valutare il peso del termine “gravi” non si può che applaudire, anche se lo sconcerto resta. Aumentato di quel tanto quando piomba sulle homepage dei siti la notizia che “a Oxford stanno mettendo a punto un vaccino che costa solo tre euro ed è diverso dagli altri due”.

D’accordo la società della comunicazione, va bene la trasparenza planetaria, passi il grande afflato emotivo per il superamento del flagello sanitario, ma qui il cittadino del mondo prende le distanze. Coglie che in tutto ciò c’è qualcosa che stranamente somiglia alle sneakers di Lidl a 12,99. E comincia a sospettare che la prossima industria farmaceutica offrirà una mountain bike dopo le prime cento dosi.

Come se non fossero bastati gli errori, i tentennamenti, i sotterfugi di otto mesi di emergenza stiamo riuscendo a incasinare anche l’ultimo chilometro della pandemia, quello che porta alla soluzione condivisa dell’immunità.

Comunque noi italiani siamo messi meglio degli altri. Il commissario Arcuri soprannominato Speedy Gonzales ha annunciato solennemente che i primi vaccini arriveranno a fine gennaio. Facendo la tara su ciò che è accaduto per mascherine, respiratori e banchi a rotelle non li vedremo prima di Pasqua. A modo nostro, avremo tutto il tempo di controllare se all’estero funzionano oppure no.

Un pensiero su “CENTO VACCINI, UNA MOUNTAIN BIKE

  1. Johnny Roncalli dice:

    Caro Gandola, resta l’amarezza, certo non la sorpresa. Nel nostro meraviglioso modo liberale, non dovrebbe sorprendere. Quando un farmaco di ultima generazione e più efficace del precedente è pronto, in genere rimane in attesa anche mesi o anni, finché le rimanenze delle precedenti versioni vengono smaltite.
    Se Crisanti poi è convinto di quel che dice, la dica tutta se ritiene questa sia la verità, ne avremo almeno per altri 5-8 anni. Non c’è problema, ci si abitua a tutto.
    Che nessuno mostri sorpresa però, la filantropia non abita qui e il fatto che si parli di farmaci vitali poco cambia, come poco cambiò quando si trattò di farmaci per l’AIDS. Ad esempio.
    Vita, morte o miracoli che sia, qualcuno deve guadagnare. Il più possibile.
    Grazie
    Johnny Roncalli

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