QUELLI CHE PROPRIO NON CE LA FANNO A GODERSI SINNER

Non riesce a unire nemmeno un fenomeno, un fuoriclasse assoluto in ascesa costante, con un ritmo travolgente negli ultimi mesi. Anzi, inizia ad avere detrattori accaniti, quasi livorosi, Jannik Sinner. Altro che i carota boys…

Intanto, perché gli rinfacciano di non essere nemmeno del tutto un nostro connazionale: primo, perché è nato in una zona ibrida dove spesso l’Italia, se addirittura non la schifano, la rinegano per il Tirolo; secondo, nome e cognome certificano il punto uno; terzo, se n’è andato a vivere a Montecarlo dribblando il fisco di casa nostra; quarto e ultimo: “adesso si interessano di tennis anche quelli che…” non sapevano nemmeno che esistesse, per dire.

Quest’ultima insofferenza è di “quelli che seguono il tennis…” da quando ancora si chiamava pallacorda e c’era un guantone invece della racchetta. Niente di tecnico, niente di specifico. Solo il gusto irrefrenabile di risalire la corrente al contrario come i salmoni: sarà un po’ di invidia, sarà un pizzico di gelosia, sarà quel che sarà, c’è chi Jannik Sinner proprio non riesce a goderselo. Altro che i carota boys, quel gruppetto di tifosi sempre vestiti di arancione come il colore dei capelli del nostro asso.

Ha spazzato via tutti anche a Miami, sta polverizzando record, sta crescendo in tutti i dettagli del suo repertorio. Gli avversari battuti, travolti come per esempio gli ultimi due, Medevev e Dimotrov, dopo le espressioni sconcertate e impotenti durante la partita, alla fine lo applaudono, lo ammirano, lo stimano. Gli vogliono bene. E più li batte e più loro elogiano il suo modo, la sua educazione, la sua eleganza, la sua famiglia, il suo team… Agli avversari di Sinner, Sinner piace, e sembrano quasi rassegnati, lasciandolo infierire: sulle punte, ma infierire comunque.

Quelli là invece no. Quelli non riescono proprio a gustarselo. Sono i licaoni del mondo social, razza diversa e distinta dai propri simili, ma – contrariamente ai canidi africani – alla costante ricerca di rispetto “per le proprie idee diverse”.

Allora a Pasqua, vincendo l’Atp di Miami dopo aver frullato appunto Medvedev e Dimitrov in semifinale e in finale, sale al secondo posto della graduatoria mondiale e io posto su Facebook una battuta, facendo un gioco di parole riconoscendone la grandezza: “L’unico caso di un numero 2 che in realtà è un numero 1…”. Ho innescato una serie di commenti di ragionieri, contabili ed etici che hanno rimproverato quella frase, non avendone colto minimamente l’affettuosa ironia. Da tifoso, si intende.

Roba da scrollare le spalle, scuotere la testa e andare avanti ignari. Rispondo a un paio spiegando il senso della battuta, perché tale era, questi restano imperterriti sulle loro considerazioni aritmetiche, mi spiegano che non è ancora il numero 1. Dunque li mollo. Non ho tempo da perdere, sono troppo impegnato a godermi Jannik e festeggiarlo.

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