NO, NON MUOIONO SOLI

di LUCA SERAFINI – Se ne vanno da soli, nello strazio di parenti e amici che non possono vederli né salutarli per l’ultima volta. A loro, ai defunti, cambia poco: se quel disegno esiste, restano vicini e vegliano su di noi, altrimenti raggiungono tutti gli altri e la compagnia non manca. È per chi resta qui che la morsa stritola sino a togliere il fiato. Senza neppure potersi abbracciare tra loro, i vivi con la morte nel cuore.

Chi ha fede ha un piccolo conforto (stavo scrivendo vantaggio, forse non mi sarei sbagliato): noi cristiani crediamo ai dogmi dell’eternità, ci facciamo le stesse domande di tutti ma abbiamo la risposta indiscutibile del crocifisso. Anche il nostro Cristo se ne andò da solo e con i nostri stessi dubbi (“Padre, perché mi hai abbandonato?”). Anche il nostro Cristo fu lasciato morire in malo modo, dal suo parente più stretto. Non prendetevela con noi o con Lui per questa falcidia: il nostro scudo è il dubbio, vi risponderemo che i Suoi disegni non li conosciamo e che la morte rispetto all’eternità è un dazio che riusciamo a sopportare.

Mi interessa provare a dire qualcosa di sensato a voi senza fede, confinati e distanti dai vostri lutti. Siete così tanti, meritate il prezzo della mia angoscia e della mia sofferenza, il pensiero costante della vostra rabbia impotente. In questo siamo tutti uguali, atei e professanti d’altro: restiamo aggrappati alle fotografie e ai ricordi, continuiamo a farli vivere nei nostri cuori. Facciamo sentire loro il nostro amore che è comunque la più grande forma di vicinanza, persino nell’assenza. È con l’amore che li accompagniamo, con i rimorsi e le fotografie, con le risate e quella volta in cui…

Ed è in questo che siamo tutti uguali: ci restano i loro sorrisi e i loro occhi, le loro mani e le loro voci. I ricordi restano qui.

Mio papà morì mentre io ero lontano, per questo senso di colpa non riuscii nemmeno a piangere quando potei raggiungerlo e scortarlo: mi ritagliai un ruolo per i vivi, mia madre, mia sorella, i suoi fratelli e amici, cercando di essere il più vicino e presente al loro fianco. Scrivemmo sulla lapide: “Vivere nel cuore di chi si ama non è morire”.

Da allora ogni volta che guardo la sua fotografia sento il perdono, umano non cristiano, e non mi angoscia più la distanza di quel giorno maledetto, perché è proprio da allora che io e papà restiamo vicini e uniti in questo cammino faticoso e ingiusto che ci appare quel che resta del nostro giorno.

Non muoiono soli, non siete lontani: il vostro amore li avvolge e li abbraccia come non mai. Lo sanno. E lo sentono.

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