Ci sono azioni e pensieri che l’altro deliberatamente ci nasconde: per viltà, egoismo, vergogna, pudore o finanche per affetto. Questa è la parte più scontata e ovvia. Ma c’è del restante.
A prescindere dalla volontà di occultare qualcosa, pur frequente, l’altra persona è un universo così ampio che una parte di esso ci rimarrà sempre inaccessibile, anche all’interno di legami affettivi fortissimi. Basti pensare alla quantità infinita di pensieri che ciascuno produce e che, in gran parte, rimane oscura, spesso perfino a se stessi. Si tratta di un’esperienza con cui gli esseri umani devono convivere e che per alcuni può essere affascinante, ma per altri è angosciante: l’altro rimarrà comunque parzialmente sconosciuto e non potremmo mai intenderlo fino in fondo.
Analogamente, anche la pretesa, così frequente ad esempio tra gli innamorati, di essere totalmente compresi è in fondo illusoria. Essendo diversi per cultura, storia familiare, patrimonio genetico, esperienze vissute, dobbiamo riconoscere che, per quanto alta possa essere la capacità d’empatia e di immedesimazione, nessuno può assumere fino in fondo il nostro punto di vista, che rimarrà sempre, in parte, incomprensibile a chiunque.
Le sopraffazioni, tra individui o gruppi sociali, nascono anche dal bisogno di sopprimere l’alterità che ci sfugge, ci inquieta, pone in discussione la nostra onnipotenza e evidenzia i nostri limiti. L’altro fuori di noi diventa territorio di conquista e omologazione, oppure, in modo più radicale, territorio di cui si nega l’esistenza.
Cosa fare? Dovremmo imparare ad esaltare la nostra comune appartenenza al genere umano del piccolo pianeta Terra e, insieme, coltivare il rispetto per l’assoluta unicità di ciascuno di noi.