PERCHE’ LA FINE DELL’EDICOLA E’ UN PO’ LA NOSTRA FINE

L’edicolante, una volta, era l’ultimo frazionista di una staffetta chiamata informazione. Al fronte poteva andarci gente come Ettore Mo o Egisto Corradi, allo stadio si presentavano fuoriclasse come Brera e Mura, ma era lui, o lei (non poche edicole erano e sono gestite da donne), a completare il passaggio finale, a consegnare al lettore il prodotto finito di una lunga, complicata e quasi sempre frenetica catena di lavoro. Dietro l’edicolante, che ovviamente consegnava il quotidiano o la rivista, ritirava gli spicci e presentava il resto, c’erano, tra gli altri, i rotativisti e i linotipisti, c’erano i fattorini che andavano a ritirare il “fuori sacco” e i dimafonisti che prendevano i “pezzi” dei giornalisti al telefono, rispondendo a chiamate a carico del destinatario. Tutta gente, questa, estinta o in via di estinzione, in qualche caso rimpiazzata dalla tecnologia, in altri semplicemente entrata in disuso, andata a far compagnia al “brumista” e a quello che, la sera, accendeva i lampioni a gas. Oggi, a rischio di sparizione c’è anche lui, o lei: l’edicolante.

Lo dicono i numeri: sempre più edicole, in Italia, chiudono e quelle rimaste aperte sono impegnate in affrettati tentativi di metamorfosi: accanto al prodotto dell’editoria – settore le cui difficoltà non sono un segreto per nessuno – propongono souvenir, ricariche, articoli di cartoleria, t-shirt e gadget per feste di compleanno. Tutti articoli onesti e rispettabili con i quali, però, Indro Montanelli e Luca Goldoni, Enzo Biagi e Giorgio Bocca storicamente hanno sempre avuto poco a che fare.

La “metamorfosi”, tra l’altro, non ha impedito il declino: dal 2019 a oggi (e mettici pure la pandemia) in Italia hanno chiuso 2.700 punti vendita (ne restano 13.500), oltre il 18% del totale. In Lombardia, regione trainante, ci fermiamo al 15,9, ma non è che ci sia da far festa (anche se con l’acquisto degli appositi gadget in effetti daremmo una mano al settore).

Ci sono città in cui il declino è più evidente – Isernia in quattro anni ha perso un terzo delle edicole, Trieste il 31% -, ma la situazione è triste ovunque.

Si può dire che ogni edicola, oggi, è una piccola Fortezza Bastiani dalle cui torri invece dei Tartari si attendono i lettori, quei curiosi personaggi che un tempo chiedevano Corriere, Gazzetta e quotidiano locale, aggiungendo “metta da parte la Settimana Enigmistica mi raccomando”. Ormai però anche il Bartezzaghi si può risolvere online e la mazzetta dei quotidiani, o la sua versione ridotta e involgarita, sta in tasca, incorporata nello smartphone.

L’edicolante finisce così per assomigliare al palo della banda dell’Ortica cantato da Walter Valdi (e da Enzo Jannacci), quello che stava lì fisso a scrutare nella notte, perché “vederci non vedeva un’autobotte però sentirci non sentiva un accident”.

L’edicolante, lui (o lei), vede le autobotti e tutti gli altri veicoli, monopattini compresi, e sente anche i passeri che si posano sul tetto di lamiera; quel che non “vede” è un futuro e quel che non “sente” è una promessa di lavoro. In questo è in buona compagnia con tutto il mondo dell’informazione, il quale sa solo che continuerà a esistere, ma in quale forma e a quali condizioni è tutto da vedere.

Il bello (o il brutto) è che l’unico sicuro di sé, certo dei suoi giorni presenti e a venire, sarebbe in questo scenario il lettore, convinto che lo smartphone continuerà a collegarlo con il mondo e a portargli quel che c’è da sapere ogni giorno con più efficienza e velocità. E invece no: non se ne rende conto, ma anche lui appartiene alla morente catena che lega l’inviato al dimafonista, il linotipista all’edicolante: protagonista di un accordo stretto sulla fiducia e sul mutuo riconoscimento, un patto qualche volta bellicoso, ma sempre fruttifero.

Un patto che smartphone e intelligenza artificiale sostituiranno forse nella forma, certo non nella sostanza.

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