MA E’ L’ESTATE DELLA LIBERTA’ O LA GUERRA MONDIALE?

di GIORGIO GANDOLA – La birretta con l’elmetto. È quello che ci aspetta nell’estate della libertà, mentre la prossima classe dirigente del Paese sarà impegnata ad alzare le medie universitarie ma soprattutto il gomito.

Poveri figli, dopo la Dad arriva il Daspo. È la soluzione inventata dai sindaci per tenere a bada i millennials che fanno le prove generali della loro stagione all’aria aperta. Del resto loro hanno bisogno di sgranchirsi e i politici più illuminati (quelli che li farebbero votare anche in fasce) ci spiegano che noi “abbiamo il dovere civico di capirli”.

E allora avanti con la movida. Milano, colonne di San Lorenzo, pieno centro con vista sui Navigli: due baby gang distruggono i bar e devastano il quartiere per tre sabati consecutivi. Milano, piazza Mercanti (a due passi dal Duomo e dalla poltrona Frau del sindaco Giuseppe Sala): altre due bande si affrontano in modo muscolare – pugni e schiaffi e bottigliate – danneggiando anche le lapidi della Resistenza. Perfino l’Anpi alza la voce contro la giunta inerte e chiede più controlli da parte dei vigili. L’assessore Dal Corno rompe il silenzio (purtroppo) e risponde: ”Non servono le ronde, serve la mediazione culturale”. Molto bene, nel prossimo weekend mentre qualche volontario leggerà loro brani di Camus e della Murgia, i pargoli useranno i lanciafiamme.

Sono due esempi meneghini ma valgono per Bologna, Roma, Napoli, Palermo, Bari. Quindi largo ai Daspo. Nel senso che i ragazzi fermati per atti di teppismo non potranno più presentarsi in zona per un mese o due o sei. Se ne facciano una ragione, vadano a rompere in un altro quartiere. Del resto si chiama movida e non prevede la stanzialità. Per loro è stato varato il Daspo Willy, dal nome del giovane arrivato da Capo Verde con il sogno di diventare cuoco e ucciso a botte un anno fa a Colleferro. Daspo Willy, tutti penseranno a un cartone animato; riusciamo a essere assurdi anche nel denominare le pene.

La prima a prenderlo è stata una ragazza di Ostia, 16 anni, denunciata per rissa davanti ai locali del quartiere marino di Roma. Per sei mesi non potrà avvicinarsi a quei luoghi. Con il Daspo Willy in circolazione anche i titolari dei bar dovranno stare in campana; chi tollera scene di violenza nella sua area di pertinenza subirà controlli e chiusure. Sarà ovviamente vietatissimo servire alcolici ai minori (barzelletta che non passa mai di moda).

Lo scenario è questo, il resto è implicito: dovevamo uscirne bene, ne stiamo uscendo a pezzi. Come società e come individui. Morivano i nonni ma in Italia è passata la linea che le vittime principali del Covid sono stati i nipoti, luogo comune buono per tutte le ere geologiche. I giovani che non potevano più partecipare agli Erasmus (per molti fanciulli un anno in meno di vacanza mascherata); i giovani che non potevano esercitare la loro creatività; i giovani repressi, chiusi in casa, privi di orizzonti. Li abbiamo accarezzati con l’arte della sociologia e li abbiamo esentati dal portare la spazzatura da basso. Li abbiamo applauditi quando okkupavano i licei in gennaio al grido: ”Vogliamo tornare in classe in sicurezza”. E abbiamo continuato ad applaudirli quando li riokkupavano perché, a scuole riaperte, ”ci sono troppe verifiche e siamo distrutti“.

In fondo alla strada, un attimo prima di arrivare al cassonetto che qualche sedicenne ha rovesciato per sperimentare la teoria della relatività (dallo sguardo perso dev’essere un Einstein), ci aggredisce una domanda: ma i genitori di questi fenomeni da movida permanente dove sono?

Chiusi in casa ad aspettare la quinta ondata? A Portofino sulla barca di Briatore messa all’asta dal giudice? In garage a cercare di far partire il monopattino? Perché i ragazzi che ciondolano ubriachi nelle notti dell’estate italiana, una famiglia dovrebbero averla. Magari anche capace di dire qualche no e alzare la voce.

Passi il sindaco Sala in campagna elettorale, passi il buonismo planetario, passi la filosofia della Cancel culture che consente di imbrattare qualsiasi cosa non abbia la faccia di Bob Marley o di Fedez. Ma se i nostri dolci pargoli sfasciano i quartieri e portano a casa i Daspo Willy come diplomi, è anche colpa nostra. Soprattutto di chi, nel nome di un malinteso senso di democrazia, non è stato capace di ereditare la più antica ed efficace mediazione culturale: il calcio nel sedere.

 

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