L’ASSALTO GIOVANE AI CAMPI

di PAOLO CARUSO  (agronomo) – Negli ultimi 5 anni in Italia si assiste a uno storico e inaspettato ritorno alla terra: un’analisi di Coldiretti registra che attualmente oltre 56mila under 35 risultano essere alla guida di imprese agricole, un primato a livello europeo.

Un’altra buona notizia proviene dai risultati dell’ultimo bando Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), all’interno del quale sono stati messi all’asta – con modalità di pagamento molto agevolate – a favore dei giovani 386 terreni ottenendo un overbooking di richieste di circa 4 volte superiore all’offerta.

Durante questa pandemia le richieste di intraprendere un’attività agricola nel nostro Paese sono state decisamente superiori alla media, con un picco di aspiranti giovani agricoltori registrato in Sicilia, ma la distribuzione dei candidati contadini è abbastanza equa su tutto il territorio nazionale.

Sono assolutamente d’accordo con Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che pochi giorni ha attribuito alla politica la responsabilità di favorire il ritorno alla terra, chiedendo a gran voce un cambio delle dinamiche in grado di permettere alle piccole e medie aziende di implementare e favorire innovazione, sostenibilità e cooperazione.

L’attività agricola italiana si è da sempre fondata su un ricambio generazionale di tipo familiare, raramente soggetti di altri settori si sono avvicinati alla terra per farne la loro attività principale: soprattutto le ultime generazioni si sono progressivamente distaccate dalle aziende agricole ereditate, dando luogo a fenomeni di spopolamento delle campagne e abbandono del territorio. Ma l’incertezza economica sta creando i presupposti per questa inversione di tendenza, testimoniata dai moltissimi giovani sempre più interessati al mondo rurale.

Totò Fundarò e Riccardo Randello (QUEST’ULTIMO NELLA FOTO) sono due trentenni che hanno scelto, sin da tenera età, di essere imprenditori agricoli a tempo pieno: il loro comune denominatore è la passione fortissima per la terra e le tradizioni, ma che ognuno di loro ha declinato in campagna in modo diverso.

Totò Fundarò vive ad Alcamo, nella parte nord occidentale della Sicilia: i suoi avi erano ortolani e mai avrebbero voluto che lui continuasse l’attività di famiglia, vuoi per le ambizioni che ogni genitore ripone nei figli, ma anche per l’immane fatica che il lavoro della terra implica.

La storia di Totò ha tratti cinematografici, non a caso è stato tra i protagonisti di “Villani”, un docu-film premiato alla Mostra di Venezia nel 2018: sin dall’età di 14 anni ha dovuto occuparsi dell’azienda di famiglia a causa di una grave malattia che colpì il padre.

Ma gli scarsi risultati economici lo costrinsero a occuparsi anche delle terre di alcuni nobili della zona, per mantenere sé e la propria famiglia. Questi impegni gravosi lo costrinsero ad abbandonare gli studi, ma con grande forza di volontà e desideroso di un personale riscatto culturale, riuscì a riprenderli a 16 anni, conseguendo il diploma di enotecnico e iscrivendosi alla Facoltà di Agraria a Palermo.

Oggi Totò è impegnato a tempo pieno nella conduzione della sua azienda, che dopo i primi anni di attività un po’ naif, forse in ossequio al suo animo di artista (è uno degli ultimi cantastorie siciliani), ha aggiustato il tiro, dando la giusta importanza all’aspetto economico-finanziario, conscio che senza un’adeguata remunerazione del lavoro non si possa avere futuro. Nel suo “Orto dei miracoli”, Totò coltiva ortaggi e grani antichi con cui produce pasta e farine molto apprezzate dalla sua sempre più folta clientela: racconta di aver convinto alcuni produttori cinematografici ad acquistare terreni nella sua zona che lui stesso riesce a curare e lavorare in conto terzi.

L’approccio di Riccardo Randello all’attività agricola è stato per alcuni versi uguale a quello di Totò, ma se ne distacca per l’interpretazione del concetto di imprenditoria. Anche Riccardo frequenta la campagna sin da bambino, ma è stato più fortunato di Totò riuscendo a completare senza particolari problemi il suo percorso di studi, che lo ha portato a diventare un giovane brillante agronomo e uno dei maggiori esperti di olio di oliva.

La sua aspirazione è quella di fare della propria azienda agricola un modello imprenditoriale fondato sui principi che regolano la sostenibilità; nelle sue terre al centro della Sicilia coltiva (senza utilizzare prodotti chimici) ulivi, legumi e frumenti autoctoni, conscio che la scelta di realizzare prodotti di nicchia è l’unica possibile per difendersi dalla agricoltura industrializzata.

Così come Totò, Riccardo è conscio del fatto che l’agricoltore moderno debba mantenere relazioni con le comunità locali, far parte di reti territoriali di produzione e di vendita, abbia necessità di ampliare le proprie attività dagli ambiti produttivi a quelli sociali e culturali, cercando di valorizzare i propri prodotti con azioni di marketing, adoperando tutti gli strumenti tecnologici a disposizione.

Grazie al suo impegno, a Licodia Eubea suo paese natale, è stata recuperata la “Patacò”, una straordinaria farina derivata da un legume povero, la cicerchia, che rappresentava uno dei pochi alimenti della popolazione locale nel passato, ma che grazie all’opera di Riccardo sta vivendo una seconda giovinezza in ambito gastronomico.

Entrambi hanno infatti optato per il recupero di antiche varietà, dai sapori unici e caratterizzati, distanti anni luce dalle produzioni omologate e prive di identità dell’agricoltura su larga scala: hanno trasformato una necessità in un’opportunità.

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