LA DURA VITA DI PAPIN, CAMPIONE DEL DOLORE

di DAVIDE MORGANTI – In silenzio JeanPierre e Florence si abbracciano fuori dallo studio medico, restano così a lungo, stretti l’uno all’altra in amore e tremore sotto lo sguardo delle persone, ricordano gli amanti di Egon Schiele, il celebre quadro del grande pittore austriaco; sono nudi di fronte al loro dolore, i corpi nascondono il volto, espongono la debolezza; siamo agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, nell’abbraccio di JeanPierre e di Florence c’è la tragica malinconia di Schiele ma anche la fragile tenerezza dei fidanzatini di Peynet; da pochi minuti la coppia ha saputo che la primogenita Emily non potrà mai parlare o camminare, meglio darle una tranquilla vita da vegetale in una clinica, fino alla morte, per sollevarla dalla sofferenza. Tetraparesi, una sentenza di morte.

Lui è JeanPierre Papin, uno dei calciatori francesi più famosi al mondo, è un attaccante rapido, segna gol impossibili e ne sbaglia di facili, non ha una grande tecnica ma una feroce determinazione che lo porta a vincere il Pallone d’Oro nel 1991; per il suo rapidissimo modo di calciare, che lo porta a rischiare il ridicolo se la palla non va in rete, si parla di “Papinades”: gol spettacolari, ai limiti dell’improbabilità fisica, calcia in modo stranissimo – quando pare aver perso il tempo sulla palla che rimbalza in asincrono, lui la colpisce così da costringerla a prendere una traiettoria non prevista.
Calciatore coraggioso, determinato, si lancia su ogni azione e spesso prende calci in faccia senza timore del dopo. Comincia a giocare male, si infortuna, 5 operazioni al ginocchio, è nel Bayern Monaco dopo le glorie al Marsiglia e al Milan: dura poco in Germania, viene criticato, è uno strafottente, dicono, un calciatore finito. Segna 3 gol in 2 anni, non resta quasi nulla del bomber degli anni precedenti, quando vinceva scudetti e trofei internazionali; lui e la sua famiglia tornano in Francia, a Bordeaux, sull’Atlantico, aria di casa, talassoterapia per Emily, la disperazione ancora, la rabbia che qualcosa possa modificarsi nella vita della bambina, anche solo spostare di pochi millimetri la sua esistenza dal suo destino, provare, per quel che si può, a ripararlo come dice Simenon.
Sulle spiagge dell’Atlantico JeanPierre e sua moglie Florence decidono di seguire il metodo Doman, il fisioterapista statunitense che nel 1955, assieme a Carl Delacato, lo creò mirando alla stimolazione neurologica mediante movimenti ed esercizi fisici che sollecitano le parti lesionate del cervello, nel tentativo di riportare il bambino ad avere l’identico potenziale che aveva al momento della nascita. Metodo contestato perché non solo parte dal presupposto che il sistema nervoso centrale si sviluppi secondo la ormai antiquata teoria di Haeckel – ossia che lo sviluppo dell’embrione di un uomo segua le fasi dello sviluppo evolutivo della sua specie – ma impegna i genitori l’intera giornata trasformandoli in medici, terapisti, insegnanti, isolando allo stesso tempo i bambini dai coetanei.
Intanto Papin nel Bordeaux torna a segnare, nascono altri figli, Emily fa piccoli progressi, è un uomo tranquillo adesso, lui che ha vinto il titolo di capocannoniere tante volte in Francia e in Coppa dei Campioni oltre che altre coppe e supercoppe; la prima in Belgio, al Bruges, dove la sua carriera ha avuto inizio. Lui è quello che vide la sua futura squadra, il Milan, rifiutarsi di tornare in campo al Vélodrome di Marsiglia per le luci che si erano spente a pochi minuti dalla fine negli ottavi di Coppa Campioni con i francesi in vantaggio; il dirigente Galliani, contravvenendo all’arbitro, aveva obbligato la squadra a ritirarsi venendo in seguito squalificata per un anno dalle competizioni internazionali; il francese andò via da Milano dopo 2 anni, troppo in fretta, poi ha ammesso che c’era tanta concorrenza e tanta delusione nel non aver potuto giocare con Marco Van Basten, ormai definitivamente infortunato.
Nel 1996 nasce l’associazione “Noeuf de Coeur” per volontà di JeanPierre e di Florance a sostegno dei bambini cerebrolesi e le loro famiglie.
“Nemmeno un istante oso chiudere gli occhi
per paura
di stritolarlo tra le palpebre il mondo,
di sentirlo ridursi in frantumi
come una nocciola fra i denti.
Quanto tempo potrò tenerlo in vita?
Guardo angosciata
e soffro come un cane
per l’universo che non ha riparo
e morirà nel mio occhio chiuso”.

Ana Blandiana, poetessa rumena, la pietas come abbraccio a un mondo che non ha ripari dal male ma solo una sua disperata difesa; nessuno esce illeso dalla vita.

La carriera da professionista di Papin finisce nel Guingamp; in quest’uomo la congiunzione avversativa è uno status quo esistenziale; per 2 anni, dal 1999 al 2001, se ne va a giocare nell’isola de La Réunion, in Africa, torna in Francia tra i dilettanti o quasi; si ferma. Riprende a giocare nel Facture Biganos, Promozione, roba da calcio da cortile, quello di fango e fatica. Anno 2012, è finita per davvero – a quasi cinquant’anni esce dal campetto per tornare a casa dopo la partita con gli amici e mamma che chiama dal balcone quando è sera già da tempo.

Bisogna ancora spostare il destino dalla vita di Emily, anche se solo per pochissimi millimetri. “Ora è in grado di percorrere 5 chilometri al giorno, in parte anche di corsa. Può ricevere ordini semplici, riesce a essere parzialmente autonoma nell’arco della giornata. A tavola, a volte, chiede esplicitamente di poter bere; altre volte fa intendere in modo chiaro di avere fame o sete ed è già un progresso enorme, visto il punto dal quale siamo partiti e le prospettive che sembravano inesistenti: 3 anni fa non si reggeva in piedi, oggi cammina e corre senza problemi”.

Il mondo, ancora una volta, come se il dolore fosse una colpa da spiegare perché l’universo non ha riparo.

*Davide Morganti, insegnante, ha scritto romanzi per Avagliano, Fandango, Neri Pozza.

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