IO E IL COVID: DIARIO / 2

Il piano di emergenza Covid prevede l’immediato isolamento del contagiato. Abitare in una grande casa ti metterebbe in condizione di farlo senza troppi problemi. Nel nostro caso, invece, ci dobbiamo arrangiare.

Per fortuna siamo solo io e mia moglie Donatella, ce la possiamo fare. Mi ritiro subito nella zona notte, che è la più isolata. Mascherine FFp2 e guanti di gomma, pc, telefonino, razione k per il cibo, libri da leggere, niente tv, termometro, saturimetro, coperte in abbondanza: questa la mia dotazione di partenza. Il resto della casa fa da base logistica.

Donatella deve adattarsi a dormire in sala sul divano, ma sappiamo bene che le donne, non solo nelle emergenze, sono il motore di tutto e il multitasking è il loro vero punto di forza.

La cosa più complicata è mangiare. Metto sulla soglia della camera una cassettiera con le rotelle (altro che banco con le rotelle di arcuriana memoria), che fa da vero carrello portavivande.

Si parte. La prima giornata è tutta una sperimentazione, a tratti divertente, visto che non mi sento poi così male. La febbre sale solo fino a 37.5 e mi sento spossato, brividi improvvisi mi scuotono, ma niente di grave. Respiro bene e controllo la saturazione che non scenda troppo. Comunicare è scomodo, perché bisogna urlare per capirsi bene da stanza a stanza. A volte ci telefoniamo.

Siamo in contatto col medico per sapere quali saranno i prossimi passi. Neanche a dirlo è lei, Donatella, che fa da contact centre, mentre io, tutto imbacuccato, rimango sotto le coperte. Il dottore ci conferma che i falsi positivi sono molto rari e che è meglio aggredire il virus da subito per impedire impatti più gravi. Parto con le punture di eparina per evitare coaguli (aihmè, questa è l’età), antinfiammatori e tachipirina in caso la febbre salga sopra i 37.5.

Ma chi va a prendere le medicine? Il piano A prevede mio fratello Danilo, un vero mago delle emergenze, l’unico problema è che risponda al telefono. Con l’aiuto della cognata riusciamo a metterlo in moto e, in un battibaleno, comincia a fare il pony dei farmaci con la sua grande efficienza. Inizio la cura, confidando anche sulla rassicurazione del medico sulla bontà della terza dose, che dovrebbe ridurre il Covid ad un’influenza. Speriamo. Spero. Anche se non sono così sereno e rilassato, su questo punto. Sarà immotivata, ma la paura striscia dentro tutte le fessure.

Nel silenzio del mio eremo, rifletto sulla situazione. Sono ventidue mesi che stiamo lottando contro il mostro, lo abbiamo guardato dritto negli occhi. Da atalantino non posso nemmeno dimenticare la cosiddetta Partita Zero: Atalanta-Valencia a San Siro, 19 febbraio 2020, andata degli ottavi di finale della Champions, prima partecipazione in assoluto per i miei nerazzurri. Donatella, un caro amico e io avevamo comprato il mini abbonamento alla Scala del calcio.

Con il Valencia addirittura 4-1, un’apoteosi di tifo. 44mila atalantini che hanno messo in scena la miglior rappresentazione teatrale, le squadre milanesi già a casa a rosicare, luci accese a San Siro solo per la Dea. Quella sera, ad ogni gol mi tuffavo nella calca di gente intorno a me, come il miglior pilota di F1 quando vince un GP e va dai suoi meccanici. 4 gol, ma 5 tuffi, perché uno è stato esaminato e poi confermato dal Var e abbiamo esultato due volte! Ebbri di gioia, non sapevamo di aver innescato il detonatore del Coronavirus, apparso per la prima volta ufficialmente in Italia a Codogno solo due giorni dopo, ma di sicuro già in circolazione quella sera.

Quella volta mi sono miracolosamente salvato, ma adesso è arrivato l’Omicron a metterci in ginocchio. Il mio medico mi prenota il tampone molecolare per l’indomani. Un giorno alla volta. Dio del cielo, ascolta la mia preghiera, se puoi concedermi un po’ di pietà.

(2 – continua) 

 

IO E IL COVID: DIARIO / 1

 

 

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