IO E IL COVID: DIARIO / 1

Il 16 dicembre mi trovo ad Atene per una missione personale non rinviabile. E’ la seconda volta nel giro di quindici giorni che vado in Grecia. Non mi piace molto viaggiare in questi periodi di Covid, ma in entrambi i casi non ho potuto farne a meno.

Prendo tutte le precauzioni possibili, però agli imbarchi degli aeroporti vivo una situazione biblica: assembramenti da paura, nessuno che faccia mantenere le distanze, tutto praticamente inutile. Il controllo del Greenpass fa ridere, in partenza dall’Italia basta mostrare il telefonino, neanche uno straccio di controllo digitale da parte dell’addetto.

Proprio quel giorno scatta la disposizione di Speranza: chiunque rientri in Italia, dunque anch’io la sera dopo, deve fare il tampone, anche se pluri-vaccinato (due dosi nel mio caso). Lo vengo a sapere dai siti e dalla compagnia aerea che gentilmente mi ricorda di farlo, altrimenti rimango a terra. Bene, penso tra me e me, una misura coraggiosa sia pur presa nel giro di poche ore, ma non mi sento di biasimare troppo il mio governo.

Devo comunque modificare il mio programma, se no ciccia. Prenoto di notte via internet il tampone all’aeroporto Venizelos e anticipo quanto più possibile i miei appuntamenti.

Per il ritorno arrivo comunque trafelato allo stand e vedo una bella fila. Maledizione, è come in Italia, pure peggio. Faccio vedere diligentemente la mia prenotazione digitale con tanto di QR (il famoso codice), il pagamento già effettuato e spero per un momento che il mondo “paperfree” mi accolga tra le sue braccia. Figuriamoci. In un buon inglese mi dicono che devo fare la fila al desk perché devono per forza stamparmi la prenotazione. Assurdo. Metà di quelle persone in fila perderanno l’aereo, io ce la faccio al pelo. Prima, però, vivo un momento di panico alla lettura del test, che si rivela per fortuna negativo. Fiuuuuuu, sospiro di sollievo.

Il 18 dicembre faccio la mia terza dose e mi sento ancora più protetto. E’ da quasi due anni che predico prudenza con amici, familiari e nell’azienda che dirigo, perché credo fermamente alla prevenzione. Non bisogna abbassare la guardia, mai.

Il 24 dicembre faccio un test nasale antigenico preventivo per il cenone di Natale, chiesto anche a tutti gli altri partecipanti, miei familiari, proprio per essere sicuri al cento per cento. Negativo pure quello, per tutti.

Trascorro la giornata di festa in modo piacevole e intenso, perché con mia moglie prepariamo una bella serata culinaria, degna di un Natale come si deve.

Mentre mi do da fare per i preparativi, però, avverto un leggero brivido che mi scuote il corpo, accompagnato poco dopo da un leggero mal di testa e qualche colpetto di tosse. “Saranno state tutte le volte che sono uscito ed entrato in casa per sistemare le cibarie” penso, senza lavorare troppo di fantasia. E’ già successo in passato di avere un raffreddore o una leggera influenza, cosa vuoi che sia. Magari non lo vogliamo ammettere, però il Covid è lì, appostato nel nostro subconscio, che lavora in silenzio. Salutata con affetto l’allegra brigata, è ora di rassettare la casa. Tiriamo tardi perché ci piace avere subito tutto in ordine.

Al momento di coricarci, un altro piccolo sintomo. Una grande stanchezza-debolezza. “Eh già, con tutto l’ambaradan che abbiamo combinato, ci mancherebbe”. La mattina successiva uno sforzo enorme per mettersi in piedi e una leggera febbriciattola. “Vabbè, facciamoci il test nasale, tanto abbiamo comprato i kit”, dico spavaldo a mia moglie.

L’atmosfera del test fai da te è tremenda. E’ esattamente come per il test di gravidanza. Puoi essere felice o disperato nel giro di qualche secondo. Un tampone, una provetta, uno sticker dove metti le gocce e poi scatta l’attesa spasmodica. Una tacca rossa sopra sei negativo, due tacche rosse sei positivo, una tacca rossa sotto devi rifarlo. Ci vorrebbero quindici minuti, ma in realtà dopo solo un paio appare già bello evidente il risultato. Tutti e due negativi. Fiuuuuuuu, doppio fiuuuuuuu.

Non mi sento tranquillo, però. I sintomi si amplificano, altroché. Sappiamo bene la storia dei falsi negativi, il mio ottimismo fa fatica a decollare. Passa tutto il giorno 26, e il 27 si ripete la scena. “Rifacciamo il test, cara, altro giro altro regalo? Non si sa mai”. E vai di tampone. Il naso, di questi tempi, è l’organo umano più violentato in assoluto.

Mia moglie negativa. Sul mio sticker, invece, compaiono due tacche rosse, belle nette.

“Ci siamo, può capitare a tutti”, non riesco a dire niente di meglio. Falsi positivi sono molto rari, mi ricordo bene le parole degli esperti. Adesso sì che non si scherza più. Improvvisamente, mi ritrovo a vivere l’incubo Covid dal di dentro, non dal di fuori. Scatta il piano d’emergenza che nessuno vorrebbe mai attivare. Che mai avrei pensato di dover attivare sulla mia pelle.

(1 – continua)

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