IL TOTO’ DI SPAGNA: UN DOLORINO PER “LA DOLOROSA”

Non è detto che siano sempre e solo i poveri a industriarsi nel raggiro, lo sappiamo bene. Una volta, in un bel ristorante sul mare in Italia, ho assistito alla scena penosa di una ricca famiglia orientale che dopo aver spazzolato una enorme grigliata mista di pesce, avendo lasciato nel vassoio a malapena le chele e la coda di qualche gambero, non voleva pagare sostenendo che non le fosse piaciuta…

Forse è una questione di tempi, oltre che di faccia tosta. O di commisurazione della miseria, intesa come umanità al di là del portafoglio, e dell’ingegno conseguente. Oppure è semplicemente l’ironia della vita, una volta plausibile e ridanciana, oggi scartavetrata dalle fake, dal peso dei commenti liberi a tutti, di quel famoso politicamente corretto o no contro il quale ci scontriamo regolarmente quasi ogni giorno. Perché d’acchito, quando leggi di uno che non ha pagato almeno 20 volte il conto al ristorante fingendo un malore appena dopo il dolce o il caffè, ti viene da ridere. Pensi a Totò e Peppino. Al Conte Max di De Sica. O a quegli italiani che l’estate scorsa sono fuggiti da un locale albanese e poi è toccato niente meno che a Giorgia Meloni farsi carico della loro scorpacciata, per evitare la brutta figura tutta nostra che nell’immaginario internazionale siamo i più furbi, i più mariuoli, i più faccendieri su certe cose e su certe cosucce. Persino se ci troviamo in Albania, che sul tema di concorrenza ce ne ha fatta così tanta…

Bene, questo signor Aidas J., un lituano sulla cinquantina che si è stabilito in Spagna, è andato in giro nei dintorni di Alicante mangiando e bevendo da signore, non limitandosi alla pizza e alla birra, ma abbuffandosi di paella, vini pregiati, aragoste e whisky di marca. Quando gli presentavano “la dolorosa”, come scherzosamente chiamano il conto in castigliano, si è sempre fatto venire un infartino, un dolorino, un malorino: ambulanza e via, a digerire al pronto soccorso per poi tornarsene tranquillo a casa un paio d’ore dopo.
L’ultima sceneggiata gli è stata fatale: stavolta si è alzato e se ne stava uscendo senza pagare, ma è stato fermato dai camerieri e dal gestore del locale. Aidas ha chiesto di poter andare in albergo a recuperare il portafoglio, ma al diniego del personale ha finto l’ennesimo coccolone e si è sdraiato, senza che nessuno abboccasse. Polizia, manette, adesso anche un volantino con la sua foto pubblicato sui giornali e distribuito agli esercenti locali della ristorazione per evitare il ripetersi della truffa.
Il mistero non svelato da “Il Paìs” e dall’agenzia di stampa iberica “Efe” è che Aidas non ha voluto rivelare il suo domicilio, era già stato arrestato qualche volta, non si sa chi sia né che lavoro faccia. Se la giustizia funziona in questo modo e uno lestofante circola a piede libero, potendo entrare e uscire dalle prigioni e dai ristoranti quanto gli aggrada, viene normale che se ne faccia beffe, direi. Quindi è difficile incriminare e condannare Aidas, non solo da noi ma anche dalle autorità, perché – appunto – ricorda più miseria e nobiltà che un crimine.
Potrebbe rubacchiare qualche sandwich al supermercato, invece si siede, si mette il tovagliolo, mangia e beve di qualità senza badare a spese, perché tanto non ne avrà. Può mai risultare simpatico? Ai ristoratori no di certo e alla Polizia men che meno. A me, sì.

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