Nessun paragone blasfemo, la linguaccia degli inglesi è finita sulle magliette del Barcellona, i capelli degli italiani si sono smarriti negli shampoo dei migliori anni. Capita nel mondo della musica che chi c’è c’è e chi pensava di esserci è finito in fretta nell’oblio. Accade anche nel cinema, Martin Scorsese di anni quasi ottantuno (prossimo 17 novembre) ha sfornato l’ultimo prodotto, “Killers of the flower moon”, con Robert De Niro, di anni ottanta, protagonista: ci siamo dunque, l’anagrafe é un’idea come un’altra, la classe non è water e dunque viva gli Stones che, dopo diciotto anni, producono dodici canzoni con l’apporto di altri coetanei, McCartney 81, Elton John 76, Bill Wyman 87, Steve Wonder 73, roba buonissima che sprizza rock and blues come nei favolosi anni.
Direi, per onore e verità, che i Pooh resistono in trincea con qualche immagine patetica, l’acchiappo della melodia è sempre quello, un po’ meno la voce strepitosa di Facchinetti, eppure la folla accorre al richiamo dei baby boomer xxxl, nostalgia e desiderio di non arrendersi mai.
Il fenomeno del trio superstite inglese è unico, quello dei tre nostrani risponde a criteri differenti, ma tant’è, suonano, cantano, acchiappano, si muovono, nel buio le fiammelle degli accendini, si balla e si strilla, voglia di vinili e jukebox, Mick e Roby sono la nostra speranza. O no?