IL SINDACO DI NEW YORK E LO SPACCIO DI SOCIAL CHE RIGUARDA ANCHE NOI

E’ vero che, oggi, far causa a qualcuno equivale al “ti faccio vedere io” di un tempo: si diceva più spesso tanto per dire che per fare, così come oggigiorno si presenta querela – o si minaccia di farlo – più per ottenere attenzione che per altro. Solo nell’ultima settimana, sull’asse Calenda-Salvini si è parlato e straparlato di querele come se niente fosse: un tweet – pardon, un “X post” – dopo l’altro, tante cartoline postali con i saluti da San Benedetto del Tronto. Tale l’intensità della corrispondenza da far sospettare che tra i due ci sia un’inespressa tensione romantica. Ma quando si mette nero su bianco e si presenta una denuncia in Tribunale sarà meglio, nonostante l’aggressiva leggerezza dei tempi, aver fatto bene i propri conti, soprattutto se si tirano in ballo giganti tech come Meta (e le sue piattaforme Facebook e Instagram), YouTube (che fa capo a Google), Tik Tok e Snapchat: aziende che pur ostentando nomi da caramella alla fragola nascondono in ogni cassetto avvocati pronti all’uso.

Eric Adams, sindaco di New York dal 2022, ci avrà dunque pensato bene: poi, ha deciso di procedere comunque, presentando una bella denuncia alla Corte superiore dello stato di California. Le aziende di cui sopra, a suo dire e lui dice a nome della città di New York, sarebbero colpevoli di «manipolare e assuefare intenzionalmente bambini e adolescenti all’uso di applicazioni social media». “Spacciare” app di Facebook o Tik Tok non sarebbe dunque diverso dallo spacciare droga, perché in entrambi i casi si ottiene come risultato un’assuefazione sfruttabile a fini di arricchimento. E queste forme di assuefazione sono alla prova dei fatti dei veri e propri attentati alla salute mentale degli individui. A questo aspetto della questione Adams fa esplicito riferimento: «Nell’ultimo decennio – ha dichiarato – abbiamo visto quanto coinvolgente e assuefacente possa essere il mondo online, che espone i nostri ragazzi a un costante flusso di contenuti nocivi e alimenta una crisi nazionale di salute mentale tra i giovani».

Parole toste, perché da esse si inferisce proprietari e manager di social media andrebbero in fondo trattati come i trafficanti dei cartelli sudamericani: se la Corte della California (alla quale è stata presentata la denuncia perché lì risiedono legalmente queste aziende) dovesse riconoscere che il sindaco ha interpretato correttamente le intenzioni di Meta & C., dal punto di vista penale non ci sarebbero grandi differenze tra Mark Zuckerberg e Pablo Escobar.

Non finirà così, e non solo perché le aziende tech hanno tanti soldi e tanti avvocati. L’accusa di Adams scarica ogni responsabilità sui social, ignorando del tutto il ruolo delle famiglie e quello degli educatori, e trascura un po’ sbrigativamente il principio della responsabilità individuale. In risposta alla denuncia, i manager hanno sottolineato che le applicazioni offrono sistemi di “parental control” e che le aziende «applicano politiche intese a indirizzare ai giovani utenti contenuti adatti alla loro età». «Le affermazioni di Adams – ha detto il portavoce di Google, Jose Castaneda – semplicemente non sono vere».

Su questo punto, Castaneda si è spinto forse un poco oltre il consentito. E’ vero che difficilmente Adams potrà dimostrare in Tribunale come sia intenzione dei programmatori «manipolare e assuefare volontariamente bambini e adolescenti», non sbaglia però quando parla di «crisi nazionale di salute mentale». Questo significa che i “parental control” non funzionano affatto come dovrebbero e che le “politiche” a tutela dei ragazzi sono probabilmente soltanto dei paraventi legali. Un richiamo all’etica d’impresa che i signori manager farebbero bene a non trascurare.

Forse solo una cosa resta da dire. Nel prologo di “Blood simple”, il primo film dei fratelli Coen, uscito nel 1984, una voce fuori campo dice più o meno così: «Il mondo è pieno di gente che si lamenta. Ma la verità è che non importa se sei il Papa a Roma, il presidente degli Stati Uniti o anche l’Uomo dell’anno: qualcosa potrà sempre andar storto. E allora forza, lamentati, parlane con il vicino, chiedi aiuto… In Russia hanno pensato di fare in modo che ognuno aiuti l’altro, almeno in teoria. Ma qui da noi, in Texas… quaggiù, ve lo dico io, ognuno fa per sé».

E noi? Quarant’anni dopo “Blood simple” siamo decisamente più in Texas che in Russia (e per fortuna). Se non possiamo sperare che il sindaco di New York salvi la salute mentale dei ragazzi e che i manager dei social media applichino sul serio efficaci “politiche” di scudo, saremo noi a dover provvedere. Da genitori, da insegnanti, da gente comune: impegnata a considerare e far considerare il mondo reale come prevalente su quello online, o meglio ancora a fare in modo che lo spazio del web sia solo di servizio a quello “effettivo” – verrebbe da dire “a quello umano” -, e non un rifugio, una via di fuga, un paradiso virtuale. Occorrerà parecchio cuore. E intelligenza. Non di quella artificiale però.

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