Alzi la mano chi ha mai sentito nominare Vittorio Lodolo D’Oria. No, non è un condottiero genovese e non ha a che fare con la battaglia delle Curzolari: è “il più autorevole esperto a livello nazionale di burnout degli insegnanti”, citando le fonti ufficiali.
Ebbene, l’illustre esperto di burnout, che sarebbe come dire il sentirsi un tantino maltrattati e malconsiderati, ci comunica che, negli ultimi dieci anni, tra i docenti italiani si sono registrati cento suicidi. Immagino che sia una cifra allarmante, pur non conoscendo analoghe statistiche riguardanti, chessò, i Vigili del Fuoco o gli impiegati del Catasto. La notizia è corroborata dall’OCSE, che in un suo recente rapporto ci conferma il crescente stato di stress dei professori italiani, dovuto, essenzialmente, all’indisciplina degli studenti e alle troppe pretese dei genitori.
Ora, d’accordo che i rapporti OCSE sono un po’ come le risoluzioni dell’ONU, ovvero vengono pubblicati perché, altrimenti, le ditte di fotocopiatrici e le rubriche sulla scuola non avrebbero ragion d’essere, tuttavia, credo che la faccenda meriti una mia augusta valutazione. E il mio ponderato e circostanziato commento è: andate tutti quanti a farvi friggere! Studenti, genitori, burnout e OCSE. E, a farsi friggere, ci vadano soprattutto gli insegnanti. O, meglio, questi insegnanti: tremebonde caricature di docenti, cui cinquant’anni di idiozie sessantottesche, di vessazioni sindacali e di calci nel preterito, hanno estratto la spina dorsale per farne flauti andini e nacchere andaluse.
Perché la colpa di questo disastro, di cui tanto l’OCSE quanto l’autorevole esperto si limitano a constatare i danni accessori, viene da lontano e va ascritta, in primo luogo, proprio alle apparenti vittime della catastrofe. Dov’erano questi professori stressati e burnoutizzati quando si scioperava per il Nicaragua, quando si farneticava di proletarizzare gli insegnanti per dar loro una coscienza sociale, quando si assumevano cani e porci, usando la scuola come sussidio di disoccupazione? Insomma, quando si è sostituito questo circo ad un’istituzione seria e rigorosa, dov’erano gli stressati di oggi? A fare gli ozi di Capua, mi verrebbe da dire: bella la vita, a non studiare, a non sapere, a non faticare e a trovarsi lo stipendio tutti i mesi, anche se si andava in classe a leggere il giornale. Perché le assunzioni nella pubblica istruzione andavano di pari passo con i baby pensionamenti, per cui si andava in pensione a trentasei o trentasette anni: tanto, paga Brighella!
Dai, stressati, non mi direte che non lo sapevate o che ve l’eravate dimenticata, la favola bella, che ieri vi illuse, ma che, oggi, non illude più nessuno: i nodi, prima o poi, vengono al pettine. Così, dopo le cene conviviali, in cui ridevate di quelli che si facevano il mazzo sui libri, brindando alla bella vita, adesso sono venute le ceneri della Quaresima: e nessuno vi dà credito, nessuno vi rispetta, nessuno vi ascolta. Questo è il guiderdone di chi ha campato di rendita: spiace soltanto per quei pochissimi che, educati alla dignità e alla serietà del lavoro, vengono accomunati, in quest’ondata di disprezzo sociale e culturale, alla maggioranza asinina.
Non vi piace sentirvelo dire? Beh, qualcuno doveva pur farlo: dopo le intemerate dell’OCSE e le ricerche del D’Oria, adesso arrivano anche gli atti d’accusa del Cimmino, che dopo una vita d’insegnamento non è esperto di nulla e non è armato d’altro se non del suo atavico senso del dovere, ma ha deciso di non nascondersi più dietro un dito e di non mandarle più a dire.
I genitori sono troppo esigenti, perché sanno che possono affondare il colpo senza trovare resistenza: tirano di scherma con un fantoccio di paglia e stracci. Così, sono capaci tutti di fare un affondo. E gli studenti sono indisciplinati perché nessuno ha insegnato loro la disciplina: che non si trasmette a botte di psicologi e assistenti sociali. Anzi, a volte, si trasmette a botte, tout court. Il che non vuol dire praticare l’ultraviolenza in classe: vuol dire che chi sbaglia paga. Ma paga per davvero.
E, infine, in un mondo privato di qualsivoglia valore morale e basato esclusivamente sull’idea che chi ha i soldi vince, un insegnante che venga pagato quanto la badante ucraina di mia madre ha, suppergiù, lo stesso prestigio sociale e, perciò, la stessa autorevolezza di un parcheggiatore abusivo, fuori dell’ospedale.
Mettete insieme tutti questi fattori e capirete le ragioni del burnout: un burnout che sa tanto di contrappasso dantesco. Aggiungo, a mo’ di clausola, che questa schifezza di scuola è precisamente la scuola che ha disegnato prima la sinistra, quindi il disegno viene follemente assecondato anche dai governi di centrodestra. Una scuola assembleare, burocratica, inclusiva, concentrata sugli ultimi, proletaria, umile e umiliata, in cui i docenti non siano portatori nobili di sapere, ma assistenti sociali, psicologi, infermieri, mediatori culturali, piccoli impiegati di concetto.
In altre parole, apparatchnik. E, stando così le cose, mi viene da dire che cento suicidi in dieci anni sono perfino pochi: nell’Unione Sovietica erano molti di più.
Articolo divertente ma pieno di luoghi comuni. Complimenti all’autore cui non difetta la simpatia. Condivido un buona parte la tesi sul ’68 italiano ma la realtà “tossica” riguarda tutto il mondo, è universale. È infatti legata alla professione. Oggi uscirà un mio articolo che spiega la questione su labparlamento proponendo al ministro azioni operative.
Vittorio Lodolo D’Oria
Gentilissimo, devo dire che anche lei si pone simpaticamente, il che, tra tanti ringhianti, rende piacevole ogni conversazione. Ciò detto, sì: il mio pezzullo trabocca di luoghi comuni: sono luoghi comuni perchè li ripetono, in una triste ecolalia, tutti quelli che lavorano nella scuola e hanno un grano di sale. È la loro verità che ne fa luogo comune, se mi spiego. Quanto al suo rivolgersi al ministro, lo apprezzo e non posso che augurarle buona fortuna. Senza troppa convinzione, per la verità. Grazie per il cortese commento e a presto.