HONG KONG E CINA, QUELL’AUTOGOL DI MESSI

Se qualcuno, per caso, ancora pensasse che lo sport nulla ha a che vedere con la politica, prego accomodarsi da questa parte. E seguire l’esondazione di articoli che i media di tutto il mondo stanno dedicando alla querelle Lionel Messi-Hong Kong.

In breve: l’Inter Miami, squadra prescelta da Messi dopo l’addio al Paris Saint Germain, è impegnata in un tour asiatico. Una delle tappe, pare inserita all’ultimo momento, è Hong Kong, regione autonoma della Cina popolare, dove la squadra allenata da Gerardo “Tata” Martino deve affrontare una selezione locale. I biglietti, si capisce, vanno esauriti in un momento, anche se il prezzo non è precisamente popolare: circa 600 euro cadauno. I fan dell’asso argentino però non badano a spese: alcuni arrivano da lontane località della Cina, altri erodono il bilancio familiare pur di portare i bambini allo stadio. Finalmente si gioca: il clima festoso, con il passare dei minuti, muta in nervosismo e infine in aperta contestazione, tanto che per quasi tutto il secondo tempo le squadre giocano investite da “buuu” di disapprovazione. Come mai? Semplice: in campo la star non si vede. Messi è in panchina perché, come spiegherà Martino, “non era pronto per scendere in campo”.

Il flop accende l’indignazione in città, in particolare sui media locali, che raccolgono storie strappalacrime: l’anziano che ha viaggiato per migliaia di chilometri per vedere Messi accarezzare il pallone in punta di alluce, il bambino che piange tutte le sue lacrime, il signore indignato che, più prosaicamente, invoca il risarcimento dei biglietti, e non mancano le dichiarazioni dei più alti papaveri del governo locale. Costoro parlano di “mancanza di rispetto”, di “insulto” e c’è chi arriva a suggerire di mettere al bando Messi dalla città. Una reazione forte, ma nulla rispetto a quanto accade qualche giorno dopo quando, arrivata in Giappone, l’Inter Miami gioca una simile amichevole e, questa volta, Messi è regolarmente in campo.

La rabbia di Hong Kong è ora al calor bianco. Incavolatura popolare peraltro, più che comprensibile. Con tutto il rispetto per gli altri dieci undicesimi dell’Inter Miami, chiunque sganci 600 euro per mangiare al loro ristorante, sente di avere il diritto di veder messa in tavola la miglior argenteria, o argentineria in questo caso. Ma l’oltraggio subìto è anche una tentazione troppo forte per il governo di Hong Kong che, finalmente, ha trovato l’occasione giusta per affiancarsi al sentimento popolare, dopo che – prima, durante e in seguito alle proteste che hanno scosso la città nel 2014 e, più tardi, tra il 2019 e il 2020 – si era ritrovato in profonda crisi di gradimento. La panchina di Messi serve dunque a soffiare sul fuoco della solita tesi: l’Occidente è perfido, non ci rispetta, siamo vittime di complotti e l’unica, vera amica che abbiamo è la Cina popolare. Le autorità di quest’ultima, naturalmente, hanno subito sostenuto quelle di Hong Kong nel denunciare l’oltraggio. Le scuse di Messi sul social cinese Weibo, dirette ai fan, non hanno placato il cannoneggiamento polemico dei dirigenti.

Rimanendosene seduto, dunque, Messi parrebbe aver fatto il gioco della Cina. Resta da stabilire se l’infortunio a causa del quale, ufficialmente, ha saltato la partita, sia in realtà solo un pretesto. Messi, si dice, non voleva affatto andare a Hong Kong, tantomeno giocarci. Almeno due indizi fanno pensare che sia così. Il primo: a fine partita, con un dribbling che, l’avesse eseguito in campo, avrebbe strappato l’applauso, Lionel è riuscito ad evitare la stretta di mano con il Chief Executive della città, John Lee. Il secondo: nel 2017 un attivista democratico di Hong Kong denunciò di essere stato rapito e torturato da presunti “agenti della sicurezza cinese” per aver voluto spedire una foto autografata del campione argentino alla vedova del dissidente Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace nel 2010, morto in carcere (di malattia) proprio quell’anno. Messi, dunque, sarebbe ben consapevole della difficile situazione civile a Hong Hong e in Cina e rifiutandosi di giocare avrebbe voluto annunciarlo al mondo o comunque non avrebbe voluto prestarsi a un evento che il governo della città aveva ampiamente annunciato come suo. Con il risultato però, inedito nella sua carriera, di aver quantomeno rischiato l’autogol.

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