di GHERARDO MAGRI- Quando si chiudono i siti produttivi è una sconfitta pesante per tutti. Di più per chi perde il lavoro, senza dubbio. Il caso di Whirlpool in Italia è un esempio perfetto delle conseguenze inesorabili di scelte fatte a tavolino dalle società. Non voglio entrare nel merito della questione, le cronache sono piene di dettagli; è giusto però ricordare il tempo infinito e vergognoso delle trattative – un calvario di 18 mesi -, in cui nessuno è riuscito a trovare una soluzione.
Mi focalizzo su un punto che ritengo più centrale e che rischia di essere solo sfiorato: le cosiddette M&A (merger and acquisition), cioè lo “shopping” fatto in giro per il mondo, soprattutto dalle grandi multinazionali. E’ un fenomeno sempre esistito nella storia, il più grande mangia il più piccolo: oggi assistiamo a una forte accelerazione, perché nei momenti di grande crisi i deboli rischiano di soccombere a favore dei forti che sfruttano il vantaggio dell’economia di scala. Sono occasioni ghiotte da non perdere. Al di là di questo concetto elementare, cos’altro ci sta dietro esattamente, quali sono i piani operativi per trasformare un’operazione relativamente facile sulla carta in una mossa davvero vincente?
Ci deve essere una strategia chiara e diretta a valorizzare il più possibile ciò che si compra. Se questo fosse lampante, dovremmo vedere un valore aggiunto per tutti gli attori e le variabili coinvolte: dipendenti, fabbriche, azionisti, clienti, marchi e la stessa storia da cui si proviene. Ci vuole una grande lungimiranza per far contenti tutti, però è questa la chiave di volta per un successo duraturo e non solo per pochi.
Di esempi positivi ce ne sono. Me ne viene in mente uno a proposito di un marchio storico tricolore a cui tutti siamo affezionati: la Ducati. Dopo varie vicissitudini nella proprietà, l’ultimo atto ha visto un fondo italiano vendere il gioiello bolognese al gruppo Volkswagen. Sopite le prime (giuste) reazioni di pancia di chi non vorrebbe mai cedere a stranieri realtà italiane così storiche, abbiamo preso atto di una saggia gestione del colosso tedesco: lo stabilimento è rimasto in Italia, l’AD è italiano e i soldi freschi hanno rafforzato il marchio e il business. Morale: se non ci sono italiani disposti a difendere le nostre aziende e a investirci, io dico benvenuto agli stranieri, che ci garantiscono continuità. Ducati rimarrà, comunque e per sempre, un brand italiano.
Purtroppo, invece, ci sono acquisizioni che seminano morti e feriti. Succede inevitabilmente quando prevale l’ottimizzazione dell’investimento, magari anche nel breve, e dove il profitto è sovrano. In questo caso, non si guarda in faccia a nessuno e si comprano aziende-marchi per aumentare fatturati e quote di mercato, a colpi di tagli del personale, siti produttivi e sparizione di intere strutture organizzative. La tentazione del gigantismo. E’ questo il caso di Whirpool, che ha comprato in un sol boccone Indesit (di proprietà Merloni, azienda familiare e orgoglio italiano nell’elettrodomestico: nel passato era Ariston, per capirci). Enorme sovrapposizione di marchi simili tra loro con scarsa valorizzazione di quelli acquisiti e sovrabbondanza di stabilimenti in Italia. Risultato evidente è la triste la storia sui giornali di oggi: ma dietro le quinte resta una complessissima e incerta strategia sui mercati. Insomma, un boccone molto indigesto. Scommetto che i risultati saranno ben al di sotto delle aspettative, anche quelle puramente finanziarie.
La storia insegna: il successo di certe operazioni nel lungo periodo è direttamente proporzionale alla durata dei CDA e al turnover dei top manager. Più l’avvicendamento è frenetico, più alto è il rischio di montare e smontare aziende con danni incalcolabili su cose e persone.
Bravo Gherardo, che piacere leggerti e dirti che condivido le tue parole.
Ciao Paolo