Era bravo il piccolo Vincenzo Sarno, con il pallone tra i piedi. Era proprio bravo. Non c’entravano niente le bugie dei genitori o dei procuratori: bastò vederlo all’opera in quel torneo giovanile di Natale nel 1998, quando aveva 10 anni e giocava con la “Scuola calcio Gaetano Scirea” di Secondigliano. Con il suo sinistro incantò la platea e stordì gli avversari, vincendo anche il premio come miglior giocatore.
I molti gatti e le molte volpi del calcio si palesarono in tempo reale: Napoli, Parma, Empoli, Coventry, Torino… Papà è disoccupato e ha 4 figli sul groppone: fanno comodo quei bei soldini, 120 milioni alla famiglia per portarlo in granata (“Ma videro solo gli spiccioli, su di me il business lo fecero altri”).
Ne parlano giornali e tv, persino programmi che con lo sport non c’entrano nulla come “Domenica In”, “Le iene”, persino “Porta a porta” quando lo scugnizzo, frastornato ma euforico, parte per Torino nel gennaio del 1999. Vive in albergo prima, poi nella cameretta in casa di un conoscente. Vincenzo è solo, piange tutte le notti, il sogno piano piano è già un incubo. Lo chiamano “Il figlio di Maradona”: dopo quel trasferimento milionario, un altro macigno sulle fragili spalle del ragazzino, che a quell’enfasi non riesce ad abituarsi: lui è soltanto “felice con un pallone tra i piedi”.
Avevano promesso anche un lavoro a papà e il trasferimento della sua famiglia a Torino. Chiacchiere. Il gatto e la volpe avevano intrappolato la preda, ora doveva sbrigarsela lui per sopravvivere: “Pensare che papà non scelse il Napoli, per me, perché aveva trattato male mio fratello maggiore Antonio che giocava a pallone pure lui…”.
Torna presto a Secondigliano, dove si sente di nuovo felice, dove il pallone torna ad essere solo un gioco, ma a 14 anni lo preleva la Roma. Un’esperienza formativa dal punto di vista sportivo, grazie anche alla supervisione di Bruno Conti, ma non arriva alla “Primavera”: la società giallorossa è in crisi, girano pochissimi soldi e Vincenzo figlio di Maradona ne vede ancora meno. Scelte, tutte sbagliate, che fanno altri per lui, che comunque oltre al calcio pensa anche alla scuola: finisce le medie a Napoli, studia alle superiori da girovago senza riuscire a diplomarsi.
Alla Roma si mette in luce, è una promessa che può essere mantenuta. Lo mandano al Chelsea di Mourinho a 17 anni, però, perché il club capitolino ha bisogno di soldi e i londinesi lo vogliono: “Durò solo due settimane, non parlavo l’inglese, non ero mai stato all’estero, non incontrai mai l’allenatore. Tornai a casa presto”.
Da quel momento casa sua fu la serie C: Arezzo, Giulianova, Brescia, Potenza, un’altalena continua tra Centro, Sud, Nord, Sud, Centro… 14 società in tutto, sempre meno campo e sempre più panchina. Vincenzo Sarno, che era stata la stellina della Nazionale Under 16 e poi anche nella Under 20 di Francesco Rocca, non trovava spazio perché “i giovani non li facevano giocare, più eri anziano e più avevi spazio. Una mentalità arretrata”.
Qualche soddisfazione se l’è tolta: una promozione dalla serie D alla serie C a Catania, 4 dalla C alla B, una Coppa Italia di serie C e 2 Supercoppe sempre di C. Ma, soprattutto, 4 anni al Foggia, di cui 3 con Roberto De Zerbi allenatore: la parentesi più bella. La ricorda con nostalgia: “Segnai 30 gol, De Zerbi sapeva parlarti e metterti in condizione di fare il meglio. Credeva nei giovani”.
Adesso, a 37 anni, il figlio di Maradona si ritira scoprendo che il pallone gli ha rubato l’infanzia e negato la ribalta più importante. Nel frattempo Vincenzo Sarno è diventato padre tre volte, ma non farebbe partire nessuno dei suoi figli (16, 13 e 9 anni), per nessun motivo: quella di uno scugnizzo lontano dalla famiglia non è vita, nemmeno se si inseguono dei sogni e qualcuno promette di realizzarli.