ADDIO MANCINI, PER EVANI LA RICCHEZZA È A CASA

Non gli è mai piaciuto quel soprannome, Bubu come il piccolo inseparabile amico dell’orso Yoghi dei cartoni animati. Ha persino intitolato così la sua autobiografia, “Non chiamatemi Bubu”, per inciso.

Che si senta un po’ orso, Alberigo “Chicco” Evani, lo confessa in ogni occasione, anche ad Albiano (in Lunigiana) dove ha presentato per l’ennesima volta il suo libro, chiedendo al sottoscritto di conversare con lui sul palcoscenico (nella foto, lui il primo a sinistra, io a destra). Sono molte le cose strane, già in queste poche righe. Ci conosciamo dagli anni Ottanta, purtroppo o per fortuna, e a me Chicco non è mai parso orso: battute sagaci e sferzanti, sarcasmo e ironia toscanaccia su qualsiasi argomento, con lui divido anche amicizie di veri e propri artisti dell’allegria e del buonumore.
Confessa da sempre, però, un’anaffettività cronica che gli impedisce di abbracciare, accarezzare i suoi cari, magari anche baciare (in quest’ultimo caso solo moglie e parenti). Rivela i suoi silenzi, il suo starsene in disparte.

In realtà il suo libro è un’apertura così solare da trovarci poco di come lui si descrive. L’intimo esposto in piazza sembra invero non pesargli più di tanto, adesso. Vero che, dopo il trionfo agli Europei di calcio quale vice Mancini (ruolo che ha ricoperto per tutta la durata del mandato dell’ex C.T.), è stato uno dei pochi dello staff a non dire una parola, affondando i suoi sentimenti a fotografie e post sui social che riempie soprattutto con immagini di tramonti, mare, nipotini/e, amici.
Una vita calcistica tra Milan e Sampdoria, incontrò il Mancio e Vialli in maglia blucerchiata e da allora nacque un legame a doppia cordata. In rossonero quasi 300 partite, 14 gol di cui 2 hanno scritto la storia, a distanza di soli 10 giorni uno dall’altro nel 1989: 1-0 in finale di Supercoppa europea al Barcellona nel novembre ma, soprattutto, 1-0 a Tokio al Medellín per riportare il Milan campione del mondo.
Adesso, però, non sale sulla carovana diretta negli Emirati: “Mi tengo stretta questa avventura azzurra, per amicizia e per prestigio”, ha detto in serata sulla piazza comunale di Aulla, ricevendo il Premio Scarabello (fu uno degli olimpionici italiani del 1936).
Nelle ultime settimane è successo tutto così in fretta, c’è stato poco tempo per riflettere, ma comunque ha scelto rapidamente. Involontario protagonista prima dei malumori del C.T., al quale la Federcalcio non aveva confermato lo staff di collaboratori (compreso lo stesso Evani), poi nella rinuncia a seguirlo negli Emirati. Vuole una panchina tutta sua, adesso, tornare ad allenare, possibilmente i giovani.
Quel progetto, quell’avventura, forse anche quei soldi, non lo hanno affascinato: proprio ora che c’è da recuperare un po’ del tempo perduto con gli affetti, con la famiglia («Mi sono perso comunioni e cresime dei miei figli, loro hanno capito e perdonato per primi»), proprio ora che c’è da riprendere in mano un progetto in prima persona, quel mondo fatato è troppo lontano dal suo.
Ha deciso in un lampo, come quando batté quelle sue punizioni al Barcellona e al Medellín sorprendendo i portieri. Adesso che ha sorpreso noi, l’orso sembra allegro e felice. Come allora.

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