ABOLIRE VOTI E QUADRIMESTRI, COME LE PENSANO

Leggo dell’ennesima trovata escogitata dall’ineffabile Emilia-Romagna, troppe volte autentico laboratorio di castronerie populiste, fin dai tempi dei biglietti dell’autobus autovidimati, che avevano schienato i trasporti pubblici felsinei, nella mai abbastanza rimpianta era Zangheri. A Bologna e Ferrara, autentici fari del progressismo benpensante, è stata postulata la brillante idea di cancellare tout court voti e quadrimestri, scrutini e insufficienze, per evitare ai giovani virgulti della scuola superiore un eccessivo stress.

Ora, potete immaginare da voi quale effetto possa fare una simile esibizione di delicatezza educativa a un vecchio alpinaccio del Quinto come me, ma, a parte le mie personalissime inclinazioni, forse forse, varrebbe la pena di rimettere al centro del dibattito alcuni dei parametri fondamentali. Innanzitutto, dovremmo tornare a domandarci cosa sia la scuola: proprio la scuola scuola, intendo. Quel luogo fisico e spirituale in cui ci si rechi a cercare di diventare qualcosa nella vita, oltre che supini schiacciatori di bottoni a comando, o elettori di questo o di quello, a corpo morto: insomma, dove si diventi uomini e non automi.

E la scuola, che piaccia o meno alle bassaridi della correttezza politica, significa apprendere: accumulare saperi, sviluppare abilità, elaborare competenze. Grazie tante, Cimmino: questo lo dicono anche le bassaridi. E allora? Allora, per cominciare, i saperi si possono accumulare in un solo modo, checchè ne ritengano coloro: faticandoci su. Lo studio, quello vero, quello che forma intellettuali sagaci e tecnici capaci, è fatica: altro che stress! E’ dura competizione, per soprammercato: perché la vita è dura competizione e la scuola è alla vita vera che dovrebbe preparare, non al magico mondo di Oz. Quindi, lo stress, tanto paventato dai pedagoghi emiliano-romagnoli, non solo non è da evitare, ma è, paradossalmente, un elemento formativo primario.

Capisco che, quando arrivi a guadagnare dei bei quattrini, con pochissima fatica e a forza di spintarelle politiche e di mani che si lavano a vicenda, la tua Weltanschauung ne esca un tantino influenzata: ma non durerà in eterno, questa bella società di stampo mafioso. Tutto, a questo mondo, ha un termine. Basta vedere la pappa che ci mangiano in testa i figli degli immigrati, abituati a ben altre durezze, che lavorano sodo per il proprio futuro, infischiandone di stress e di consimili facezie.

Inoltre, la scuola ha da essere un luogo che, in qualche misura, dia al giovane cittadino la dimensione stessa della responsabilità civile: non un sistema in cui, se non ce la fai, ce la farai, a tutti i costi. La società degli “omoìoi” può funzionare solo se tutti vivono di rendita: laddove si campi del proprio merito, gli omoìoi se ne vanno a farsi benedire, con buona pace dei filosofi illuministi. Se, invece, tu vedi che lavorare non serve a nulla, perché, tanto, anche l’ultimo dei fessi o degli scansafatiche, di riffa o di raffa, alla fine, viene messo sullo stesso piano dello sgobbone o del genietto, inevitabilmente, penserai: chi me lo fa fare?

E precisamente questo è il modello sotteso dalla proposta di cui stiamo dicendo: una scuola rilassante, omologante, dolcemente rassicurante, in cui ci si rechi per trascorrere piacevolmente qualche oretta in compagnia. Solo che, per quello, ci sono i bar e le discoteche: la scuola, da almeno venticinque secoli, tempra, non blandisce. E, per finire, se l’insegnante è una mezza cartuccia, ignorante e accondiscendente, il cui unico compito è segnalare gli assenti e promuovere tutti, una specie di mite guardiano di pecore dall’aria vagamente arcade, credo che sarà un po’ difficile restituirgli un minimo di dignità, di prestigio sociale e di valenza economica. Perché Titiro passa il tempo sotto un faggio a poltrire, ma non pretende mica considerazione o prebende.

Perciò, miei cari altropensanti, non illudetevi che una scuola del tipo di quella immaginata dai fachiri bolognesi possa funzionare o, ancor più, possa risolvere le infinite magagne che il nostro sistema educativo denuncia, ogni giorno di più. Sappiatelo: è la solita fuffa. Il solito trucchetto delle tre carte. Un passo ulteriore verso l’abolizione della nostra cultura. E non oso scrivere con cosa la vorrebbero sostituire, perché, altrimenti, mi portano in galera.

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