IL MIO GRAZIE A GIROUD PER IL (FUGACE) RITORNO DEL VIVA IL PARROCO

Sei scarso, vai in porta. Accadeva così, nei favolosi anni dell’ìnfanzia, dico la mia perché la next generation ha altro per la testa e per le mani.

Dunque si giocava a pallone e c’era sempre lo sfigato, quello che faceva casino e basta, in classe e fuori, ma aveva piedi di marmo, si muoveva come un bradipo, eppure voleva partecipare alla partita di football su campetti improbabili, ghiaia e polvere.

La premessa dovrebbe servire a spiegare l’eccitazione, tra titoli e commenti, per l’esibizione di Olivier Giroud nell’imprevisto ruolo di portiere e pure decisivo, nella partita di Marassi contro il Genoa. E allora vai con l’elenco degli altri eroi, protagonisti dell’evento incredibile, dimenticando che proprio questa è l’essenza del gioco, la sua bizzarria, il suo fascino che nessuna scienza adanitica potrebbe illustrare.

Il calcio è questo, l’universalità dei ruoli, i terzini che attaccano, i quinti che difendono, gli attaccanti che rientrano, lo stopper che va in gol, la catena di sinistra, i braccini di difesa, la sovrapposizione, le ripartenze, la densità, la seconda palla, un repertorio che riempie bocche e svuota i cervelli, salta come un tappo di lambrusco o champagne dinanzi al fatto non previsto, Giroud calza i guanti e salva la squadra.

Ma, subito dopo, ritorna il grigiastro, cioè il mercato degli oh bej oh bej, la maglietta indossata, la sua replica, è un oggetto da mettere in vendita nel negozi o addirittura on line.

Personalmente mi batto per “viva il parroco”, “risultato ad occhiali”, “giacchette nere”, “tiratori scelti”, “batti e ribatti”, roba giurassica, boomerissima, béla fresccha. A voi studio.

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