VIVERE AL TEMPO DEGLI IDIOTI YOUTUBER

I tempi sono maturi perché si abbandoni un certo modo, tutto illuminista, di vedere le cose: credo sia necessario abbandonare le valutazioni in punta di diritto e cominciare a pensare ad un umanesimo di ritorno. Perché, in punta di diritto, quello che è successo a Roma, dove cinque ragazzotti hanno centrato con un suv una macchinina, uccidendo un bambino di cinque anni e ferendo gravemente la madre e la sorellina, è un semplice incidente stradale: un omicidio stradale, nella peggiore delle ipotesi.

Viceversa, sul piano morale, quello che è accaduto è un gigantesco affronto all’umanità: una monumentale dimostrazione delle peggiori pulsioni che possano albergare in una mente bacata. Sono le modalità della tragedia, ad incendiare lo sdegno di chi ancora possieda un’anima: cinque nullità, meglio dette youtuber, fiere di chiamarsi “Borderline”, galvanizzate da un successo da poveracci sui social, cercano di conquistarsi ancora uno scampolo di gloria, tra borgatari adoranti e tredicenni infoiate, con un record demenziale, di guida e, diciamo così, di goliardia. Perciò, noleggiano una Lamborghini: autentico mito e miraggio di qualunque omuncolo del pianeta. E, col loro bolide in affitto, si mettono a scorrazzare per le strade di Roma, come si trattasse di una gara di endurance. Poi, siccome esiste un demonio particolarmente adibito alla cura dei falliti, centrano la smart dell’incolpevole famigliola, distruggendola. Per un pugno di like: per la più aleatoria e inutile delle corone.

Certo, così a prima vista, la reazione non può che essere quella di catalogare questi cinque come un’accolita di idioti. Non c’è alternativa: uno che si comporta così è un imbecille e vive, evidentemente, in un mondo di imbecilli consimili, di cui cerca l’imbecillissimo applauso. Ma c’è qualcosa di più profondo e inquietante della pura e semplice idiozia: è la constatazione che questi giovanoidi hanno perso definitivamente il senso della realtà, delle cose autentiche, perfino della vita e della morte.

In altre parole, stiamo crescendo una società basata sul nulla: sulla cancellazione di qualsivoglia struttura etica, di qualunque valore, di ogni forma di rispetto. E non è che questi mostriciattoli da cellulare in presa diretta nascano in una notte, come certi funghi mortiferi: sono il prodotto di una decomposizione morale che viene da lontano. Nasce dal “vietato vietare”, dall’edonismo autocentrato, dall’ignoranza becera dei più elementari rudimenti civili: nasce da un mondo di cretini che, con la forza del numero e degli istinti si è definitivamente imposto sul mondo degli “aristoi”. Nasce dalla maggioranza rumorosa. E imbratta, rovina, cancella ogni cosa bella, sana, pulita: talvolta, perfino, la uccide. Perché questa cultura del niente, questa dimensione psicotica dell’apparire, porta con sé i germi della morte: inevitabilmente, indefettibilmente. Travisa tutto, smantella tutto: la famiglia, l’amore, la fede, la cultura. Perché nulla vale, tranne che l’apparenza: le amene sembianze.

Questi ragazzi sono abiti senza dentro un corpo, sono ecografie, non persone. Loro e il loro mondo coatto di sfide demenziali. E li abbiamo voluti così noi: magari non io e non voi che state leggendo, ma la nostra generazione, i nostri mastri pensatori. Per vendere loro qualunque carabattola, per far loro credere qualunque scemenza, per farli votare in un certo modo, pensare in un certo modo, apparire in un certo modo. E uccidere, ahimè, in un certo modo.

Giusto che paghino salato ciò che hanno fatto, anche se so già che non succederà nulla di simile, ma non basta: occorre ripensare al mondo che ci siamo costruiti attorno e cambiarlo, prima che sia troppo tardi. Altro che cambiamenti climatici: è il cambiamento antropologico quello che incombe su di noi come una catastrofe imminente!

Ma nessuno pare farci caso e, spesso, chi s’indigna e chi reclama pene draconiane per questi cinque assassini è fatto della loro stessa pasta: ignorante e arrogante. Invece, dovremmo mettere al centro la civiltà, la cultura, l’educazione, il rispetto delle regole. Ma chi le scrive, poi, queste regole? La Ferragni? E siamo daccapo.

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