Certo che sì, lo scarto con gli altri candidati era macroscopico.
E per fortuna. Perchè in caso di scarti millimetrici, la faccenda si sarebbe rivelata molto più esplosiva. Perchè ancora una volta questo strano metodo elettorale ha scatenato più di un dubbio nei pochi elettori che si sono recati alle urne, aprendo la porta a un sacco di possibili errori.
Questa volta la dinamica l’ho vissuta dall’interno, trascorrendo tre giorni da presidente di seggio nel paese in cui abito.
La prima constatazione, in linea con quanto rilevato in Lombardia, ma anche nel Lazio, è stata la scarsissima affluenza al voto, anche se la mia pur limitata osservazione ha fatto registrare un andamento leggermente superiore alla media.
E anche in quei pochi che hanno raggiunto la scuola elementare per votare, i dubbi non sono mancati: c’era chi si avvicinava al banco della consegna della scheda per poi fare rapida retromarcia per consultarsi con un familiare; chi, già all’interno della cabina elettorale, ha scostato la tendina e, guardandomi, mi ha chiesto dove doveva scrivere (era una ragazza, giovane ma non giovanissima: aveva l’aria di una nella doccia che mi chiede di passarle lo sciampo); un’altra signora è riuscita nell’improbabile manovra di inserire la scheda elettorale nella bustina trasparente della tessera e poi di infilare il tutto nell’urna costringendomi a sospendere la votazione, a chiudere il seggio, a togliere i sigilli all’urna per aprirla e farle recuperare la sua dannata bustina che non ero riuscita a intercettare in tempo prima che la infilasse.
I più incerti erano gli anziani: oltre alla difficoltà nel comprendere come segnare il proprio voto, facevano fatica a ripiegare la scheda: “Sembra di ripiegare il bugiardino delle medicine”, dicevano a voce alta dall’interno della cabina.
E poi c’è chi si dimentica di riconsegnare la matita copiativa, chi non vuole mostrare un documento, chi si presenta senza la tessera elettorale… insomma, varia umanità.
E anche se queste sono dinamiche comuni durante le tornate elettorali, tutte contribuiscono alla non serenità di un passaggio importante come quello dell’espressione del voto.
Questa volta poi era particolarmente complicato votare correttamente perché, oltre ad esprimere il sostegno a uno dei quattro candidati presidenti (pratica facile), l’elettore poteva indicare una lista abbinata al candidato ed esprimere la preferenza per uno o due nomi relativi a quella lista (questo già più difficile).
Ma l’apoteosi dell’incomprensione è stato il voto disgiunto (voto ad un presidente e ad una lista a lui non collegata), interpretato da molti come la possibilità di fare la croce su più liste, azione che inesorabilmente invalidava la scheda.
Molto difficile è stata anche la corretta assegnazione del voto espresso, durante uno scrutinio che si è rivelato lungo e faticoso: per me era la prima volta e ho toccato con mano il mare di carte e verbali (tutti in doppia copia) che bisogna compilare per la dichiarazione dei voti raccolti; voti che devono essere indicati su tabelle di scrutinio (cartacee) composte da pagine e pagine a quadretti minuscoli (ogni quadretto un voto).
Ed è persino richiesto di indicare, in una tabella apposita, i voti attribuiti al candidato presidente, che però sono stati raccolti da schede dichiarate nulle. Perché? Scopo statistico. Follia.
Persino la squadra di scrutatori più attenta potrebbe umanamente commettere degli errori.
Ecco, tra le difficoltà dei cittadini (ma com’è che si vota?) e quelle degli scrutatori nella rilevazione dei voti raccolti, è probabile che i risultati non siano proprio aderenti alle realtà.
Stavolta, come detto, ha ampiamente vinto Fontana; ma se ci fosse stato un pareggio?
Non sono certamente titolata per proporre una soluzione, ma da cittadina che vota e, stavolta, da presidente di seggio, mi sento di dire che è venuto il momento di studiare metodi più snelli per votare.
Ne guadagnerebbero tutti: i candidati, l’affluenza e, in ultima analisi, anche la democrazia.