VERSO LA GUERRA INFINITA, NELLA NOSTRA CRESCENTE INDIFFERENZA

La verità vera sulla guerra in Ucraina? Semplicemente, una verità non esiste. O, perlomeno, è una verità talmente sotterranea e camuffata da fare come se non esistesse. Una guerra, di per sé, è una macchina complicata: questa guerra lo è ancora di più.

All’inizio, la maggior parte degli analisti militari, e io ultimo e mignolo, si era detta sicura che Putin non avrebbe ordinato l’attacco. E la realtà ha clamorosamente smentito la nostra analisi.

Poi, si pensava che vi fosse una disparità di forze in campo tale da permettere all’esercito russo di insaccare facilmente e bonificare le principali aree di interesse strategico, da Odessa a Karhiv: e, di nuovo, le cose sono andate diversamente. Allora, nel mondo iperuranio della strategia da tavolino, si è passati alla capillare analisi delle armi impiegate (e, soprattutto, non impiegate) da Mosca: le ipotesi si sono sprecate, dal risparmio in vista di un’offensiva finale agli arsenali obsoleti e assai più striminziti di quanto avesse fatto presumere la burbanza putiniana. Di volta in volta, è sembrato che i droni e i javelin ucraini potessero fare carne di porco dei tank avversari o che i Buratino e gli Armada avessero strada libera fino a Kiev: e tanti bei saluti alla strategia.

In questa specie di bizzarro Risiko, da cause efficienti, sono entrati gli USA e la Cina, la Nato e il fantasma sovietico, senza che, di fatto, si comprendessero le vere ragioni per cui centinaia di migliaia di uomini siano morti. Putin sembra un Buddha siberiano: sibila minacce criptiche in un gioco di sfumature che risulta ai più incomprensibile. Zelensky fa comparsate assurde con le sue magliette verdeoliva, lanciando apoftegmi da manga giapponese.

E noi, coi nostri giornalisti raccattati al mercato, abituati a litigare sul VAR e i fuorigioco, abbiamo rinunciato a capire e perfino a parlarne: prima, sembrava stesse per scoppiare la terza guerra mondiale e, adesso, è tanto se si viene a sapere che in Ucraina nevica. Bizzarrie della comunicazione globale, forse: io propendo per l’ipotesi di un egoismo sostanziale, riparato dietro un formale umanitarismo ai fiorellini di campo.

Sia come sia, io un’opinione fondata non ce l’ho: ho, anzi, la sensazione di un conflitto che, ormai, vada autoalimentandosi, come talvolta accade a certe guerre, che procedono, stancamente, ai confini dell’impero. Suscitavano più attenzione le guerre boere, per capirci. Un bel giorno, ci ritroveremo a commentare una pace che avremo capito ancor meno della guerra: una firma, una stretta di mano, e qualche nuovo confine, qualche diversa denominazione. E amici come prima. Resteranno due o trecentomila tombe, nella fertile pianura ucraina, con nomi scritti diversamente, ma che, spesso, sono gli stessi. E gli orfani e le vedove, come scriveva Euripide, duemilacinquecento anni fa. Ecco, forse, questa è l’unica verità possibile di questa guerra. Di tutte le guerre.

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