Sempre più spesso il tenore dei meeting internazionali nelle aziende è di questo tono. Un continuo tentativo teso a smussare, a dissimulare, a fare vedere una realtà diversa da quella che è, a essere positivi a tutti i costi, in sostanza a recitare la parte del manager che non ha problemi e che tutto risolve. La realtà è tenuta lontana ed è talvolta temuta perché rischia di rovinare il soave minuetto dei “very well done mister, congratulations to you and to your team”, che farcisce in modo formale e posticcio tanti argomenti che, invece, meriterebbero delle vere e proprie arringhe verbali tonanti a due vie.
Mi mancano questi momenti, vissuti intensamente in passato. Quante verità ne verrebbero fuori, incandescenti e pericolose da maneggiare sì, ma fonte di autentiche proposte e idee migliorative.
Prendo come esempio la discussione del budget-target dell’anno successivo. Momento liturgico aziendale, in cui si mette a punto un piano fitto di numeri e obiettivi, corredato da strategie e tattiche che permettano di raggiungerli. La (ponderosa) presentazione viene fatta solitamente dalla filiale (business unit) alla sede centrale per l’approvazione. Settimane di preparazione per arrivare pronti all’appuntamento che farà scaturire a cascata per tutto l’anno successivo reporting e controlli, misurazione degli incentivi economici, successo o fallimento del business stesso. Ho vissuto in prima persona tante edizioni e altrettante svariate modalità di esecuzione. La durata può andare da un giorno intero con decine di manager che si alternano quando le aziende sono grandi e i temi complessi, alle poche ore quando la taglia è più piccola e il giro d’affari ben delimitato. In ogni caso ho contribuito anch’io a vere maratone alla Mentana, in cui ogni parte cerca di convincere l’altra. Ci si spreme a fondo e le energie profuse generano valore aggiunto, se non ci sono filtri.
Ecco, il punto è proprio questo. La volontà di confrontarsi davvero, di dire come stanno le cose, di poter usare la propria testa e l’esperienza fanno la differenza. Oggi, invece, la giornata campale del budget è stata sgretolata non solo da innumerevoli pre-meeting in cui si analizzano allo sfinimento micro aspetti che tolgono attenzione al cuore dei problemi, ma anche dai maledetti format-template delle presentazioni che tolgono la possibilità di dare la giusta angolatura e vanificano il pathos della discussione. Si privilegia la correzione delle bozze (non sto scherzando: c’è qualche addetto che nascosto da qualche parte corregge le parole e aggiusta le frasi), si cura l’estetica, si evita con la massima attenzione l’insorgere di sorprese, si nega l’improvvisazione. Così facendo si arriva alla data tanto attesa con documenti piatti, predigeriti e asettici come usciti da laboratori biologici. Non c’è spazio per discutere veramente, si fa una passerella veloce del già letto e si sprecano tanti inutili “thank you” a braccio. Al massimo in quarantacinque minuti si consumano i destini di un intero anno, pieno di mille cose che non saranno per niente facili, ciao e arrivederci.
Noi italiani soffriamo da morire una tale pièce così decadente, sia dal punto di vista dell’oratoria che dei contenuti. A noi che amiamo animare la discussione con passione e sostenere gli argomenti con ardore, manca il terreno sotto i piedi. Ma non demordiamo affatto. Aggiriamo l’ostacolo con sorprendenti interpretazioni, con intelligenti inserimenti all’ultimo di nuove slides che giustifichiamo come urgenti e attuali, con collegamenti inattesi tra i diversi temi, con domande insieme alle risposte, insomma combattiamo la piatta mediocrità con sagacia e teniamo alto il livello intellettuale. Sul serio. Qual è il vero giudizio che gli stranieri hanno su di noi non lo sapremo mai, ma di certo l’elemento sorpresa è il nostro marchio di fabbrica e la cosa sembra non dispiacere affatto, in fondo è come se loro se la aspettassero, la sorpresa. E la vera sorpresa c’è quando non arriviamo con la sorpresa.