VEDERE LA VITA CON GLI OCCHIALI DI DEL VECCHIO

Leonardo Del Vecchio se n’è andato, senza clamore e con sorpresa di tutti. Ricoverato da settimane al San Raffaele per una polmonite, la famiglia non ha fatto trapelare nulla, immaginiamo per volontà del grande imprenditore ottantasettenne.

Della sua vita abbiamo letto tutto, la sua straordinaria progressione iniziata come ospite dei Martinitt di Milano perché la mamma lo vuole togliere dalla strada dopo la morte del papà, dal primo impiego come garzone fino a diventare il capo del più grande gruppo mondiale nella produzione e distribuzione di occhiali, la EssilorLuxottica. Multinazionale italo-francese da 21.4 miliardi di euro e 180.000 dipendenti, voluta fortemente da lui, che preferisce essere l’azionista di riferimento di un colosso piuttosto che rimanere comodamente l’indiscusso padrone della sua creatura Luxottica, che macina profitti e crescite. Lotta come un leone per avere al comando un AD italiano e, dopo un lavoro tenace ai fianchi, piazza il suo manager Milleri nella poltrona più importante.

Non ci sono altri esempi di joint venture in cui la leadership è tricolore, in particolare con i cosiddetti cugini d’oltralpe: basta guardare Stellantis, al cui vertice i francesi di PSA hanno voluto il loro top manager Tavares, dandoci in cambio la casella del Presidente a Elkann, carica più onoraria che altro.

Questa sua innata scintilla di voler primeggiare sfidando gruppi più grandi del suo senza nessun timore reverenziale è il suo marchio di fabbrica. Tenace, determinato, asciutto, rigoroso, dritto al sodo, rappresenta un modo di essere italiano che è stato giudicato anglosassone, perché bisogna a tutti i costi etichettare la qualunque. Liquida il suo AD Andrea Guerra nel 2014 dopo dieci anni, probabilmente perché tentato dalle sirene della politica (Renzi lo vuole come suo ministro), e il patron non sopporta l’idea di non essere stato informato.

Lui aveva un sogno grandioso e l’ha inseguito per tutta la vita con coerenza, costruendo le crescite comprando aziende. Magistrale il colpo dell’acquisizione dei Ray Ban nel 1999, marchio iconico di un’America di successo, ci siamo stupiti che non avvenisse il contrario. Uno shopping inarrestabile, compresa anche la distribuzione, per svincolarsi da certe dipendenze di mercato che lui soffriva. Il progetto è andato avanti spedito fino alla fusione con Essilor e alla conquista del suo comando operativo.

Mi piace ricordare il suo lato umano, fatto di iniziative solidali verso i suoi lavoratori, che lo salutano chiamandolo “papà”. Tra le tante, citiamo il regalo di 140 mila azioni per un valore di 9 milioni di euro ai dipendenti, in occasione dei suoi 80 anni, che bissa un’azione analoga nel 2011 da 7.5 milioni: un totale di 16.5 milioni distribuiti e presi dal pacchetto azionario personale di Del Vecchio. Metteva a disposizione i trasporti gratuiti da e verso la fabbrica, vacanze studio ai figli dei dipendenti, asilo nido ai più piccoli. Forse l’idea più innovativa riguarda il “patto generazionale”: 100 dipendenti a tre anni dalla pensione possono avere un part time del 50% senza intaccare gli importi finali, dando la possibilità contemporaneamente ad altrettanti giovani di entrare in azienda a tempo pieno.

E poi. Le sue interviste nel periodo del Covid, in cui traspariva la preoccupazione per il livello occupazionale, ma al tempo stesso la serenità nell’intravvedere un futuro. La sua donazione di 10 milioni e respiratori all’Ospedale Fiera di Milano. Parlava di lezione che non dovevamo dimenticare: “Da tutto questo ne potremo uscire solo in due modi: con la rabbia lasciata correre per le strade, o puntando sul sacrificio e sulle energie di tutti per ripartire assieme. Il rischio più grande è arrendersi a problemi che sembrano troppo grandi, senza affrontarli, e alla tentazione di guardare solo a noi stessi”. Ancora: “La privazione ci sta facendo capire il valore delle cose: certe non ci mancheranno più, altre sapremo che sono preziose. Colpisce il senso di solidarietà, la preoccupazione vera dell’uno per l’altro. Nel lavoro si stava perdendo questo senso di appartenenza, la vera essenza che rende forti le aziende ma anche la nostra idea di civiltà”.

Un lascito e un esempio da custodire per sempre.

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