Il 17 per molti colleghi del Tommasi è numero maligno, secondo i latini XVII anagrammato sta per VIXI, dunque sentenziando l’avvenuta morte. Damiano Tommasi se ne fotte, in senso buono, è nato il 17 e poi di venerdì e il 17 era il numero della maglia che lo portò allo scudetto.
Titolare grazie a Chiara di sei figli, quattro le femmine e due i maschi, Tommasi è devoto, ex chierichetto, anche servitor di messe per il cappellano della Roma, insomma uno fedele e praticante, ma non certo un baciapile bacchettone. La faccia evangelica è presente da sempre, ma l’azione è quella di un mediano che bada alla difesa e tenta l’affondo.
Il mondo del calcio ha fornito altri esempi di carriera extragonistica, direi Percassi che da mastino marcatore si è trasformato in imprenditore di successo, George Weah presidente della Liberia, Bebeto eletto deputato regionale in Brasile, Kaladze ministro dell’energia e delle risorse naturali in Georgia e poi sindaco di Tblisi, Blanco il messicano del Valladolid governatore dello stato di Morelos, tra i minori Nervo, del Bologna, poi sindaco di Solagna, e perché no, Rustico che è stato assessore allo sport e alle politiche giovanili di Bergamo. Non dimentico Gianni Rivera che è stato sottosegretario. E in ogni caso, anche senza arrivare alle seggiole del potere, in giro per le squadre di ogni ordine e grado circolano atleti pensanti, con ottimi quarti di cultura e di saggezza. Poi certo, uno sente Adani ed è portato a pensare il contrario. Ma grazie al cielo nemmeno lui è la regola.
Totale: se la maggioranza non è silenziosa e si limita al cross e alla ripartenza, esiste una fazione o frazione che ha saputo e sa fare altro.
Damiano Tommasi viene da una famiglia di spacca legna (il nonno) e spacca pietre (il padre). Per il momento ha spaccato la storia di Verona.