USA-CINA, SFIDA LESSICALE

di MARIO SCHIANI – Il manifestante del vicino? È sempre più verde. Meglio: ha sempre più ragione. Veniamo subito al doveroso chiarimento. Come è accaduto in tutte le redazioni del mondo, anche in quella del Quotidiano del Popolo, organo d’informazione di Stato cinese, i bravi giornalisti si sono organizzati per “coprire” al meglio quanto sta accadendo in America. Ovvero, per dar conto dell’ingiusta e allarmante fine del povero George Floyd, soffocato a morte da un agente di polizia a Minneapolis, e delle manifestazioni di piazza che sono immediatamente seguite. Proteste e scontri in molte città, un commissariato di Minneapolis dato alle fiamme, casi di saccheggio in vari negozi e supermercati. Il tutto alimentato dall’eterno problema delle disuguaglianze sociali e razziali.

Ancor prima di consultare le agenzie, di telefonare al corrispondente da Washington e magari di consultare un libro di Storia, i redattori del Quotidiano del Popolo si sono precipitati sul dizionario: mai come quando si lavora in un organo di Partito è importante scegliere bene le parole. Alcuni dei manifestanti di Minneapolis, Washington, New York, eccetera avranno anche trasceso e si saranno macchiati di reati non lievi, ma il giornalista cinese, giustamente, non vuole dimenticare il contesto, né ignorare le ragioni della loro rabbia e, soprattutto, vuol far presente al lettore come i manifestanti rappresentino, nella loro reazione furibonda, la prova provata che l’America non è un Paese perfetto. Ecco dunque che dal vocabolario viene pescata la parola perfetta per definirli: “shì wēi zhĕ”, dimostranti. A riprova, nel notiziario in inglese del giornale, rilanciato dal profilo Twitter “People’s Daily, China”, la parola viene tradotta proprio in “demonstrators” e le attività in cui tali “demonstrators” sono impegnati, non esclusi i roghi e i saccheggi, sono “demonstrations”.

Non ci sarebbe nulla di male in questa attenzione della stampa cinese per le turbolenze sociali americane, in particolare per la piaga tremenda del razzismo, se un’analoga ricerca lessicale, svolta tempo fa in circostanze simili, non avesse prodotto, al Quotidiano del Popolo, un risultato un poco diverso. Per definire i manifestanti scesi in strada lo scorso anno a difesa dell’autonomia di Hong Kong e che stanno tornando a organizzarsi dopo l’approvazione, a Pechino, di una speciale legge di “sicurezza nazionale” destinata, secondo i più, a cancellare ogni residua indipendenza dell’ex colonia, era stata scelta infatti una parola diversa: “bào tú”, che, se la consultazione non inganna, significa “bandito”, “bullo”. Ovvero: “criminale”.

Insomma: chi protesta contro il mio governo è un criminale, chi se la prende con il tuo è un dimostrante. Non che i media cinesi detengano l’esclusiva mondiale degli eufemismi, dei giri di parole, delle omissioni strategiche e delle collocazioni in una breve a pagina 64 delle notizie “scomode”, tutt’altro. Il problema è che laggiù gli eufemismi diventano comunicati ufficiali, i giri di parole finiscono nella Costituzione e le omissioni, beh, quelle rappresentano vuoti della Storia, fatti mai accaduti, invenzioni occidentali. Chiedete in giro, a Pechino, di Tienanmen ’89 e vedrete che faccia fanno.

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