UN’ALTRA OMBRA TENEBROSA SULLA RUSSIA DI PUTIN

Se, la prima volta, fallisci, ritenta: sarai più fortunato. Questa potrebbe essere la logica per cui Aleksej Naval’nyj ha perso la vita, nella prigione di Kharp, dove stava scontando una condanna a 19 anni.

La prima volta, quattro anni fa, era stato avvelenato, probabilmente con il Novichok, ma se l’era cavata. Stavolta si parla di trombosi, ma non ci crede nessuno: secondo i parenti, Naval’nyi stava incredibilmente bene, nonostante il recente trasferimento nella nuova prigione, perduta nelle lande artiche della grande madre Russia. D’altra parte, Boris Nemcov, il suo collega ai vertici della coalizione anti-Putin, denominata “Coalizione Democratica”, venne ammazzato nel 2015: prima o poi, a chi si mette contro lo Zar, qualcosa capita per forza.

Che possiamo dire? Di sicuro, anche questa notizia, nella sua scarna tragicità, dividerà i putiniani e gli antiputiniani d’Italia, come già avviene su quasi tutto ciò che provenga dalla Russia: ci sarà chi griderà al delitto di Stato e chi giurerà sulla morte per cause naturali. La verità vera è che noi della Russia non sappiamo nulla o quasi: non ci capiamo nulla e ci azzuffiamo senza nemmeno aver capito perché.

Già al tempo dello Zar autentico, quello che Dio avrebbe dovuto salvare, nell’inno nazionale russo, e che, invece, abbandonò alle pistole dei bolscevichi in casa Ipat’ev, dell’immenso impero orientale si sapeva poco o niente: era un mondo variegato e remoto, esotico e misterioso, di cui coglievamo solo scampoli, perloppiù letterari. Le notti bianche e le cavalcate degli atamani, la neve e le sonagliere delle slitte, Gogol e Dostoevskij. Ma di quell’anima russa di cui leggevamo, in verità, non sapevamo niente: immaginavamo, al massimo.

La rivoluzione d’ottobre e la spaventosa dittatura comunista ci resero del tutto impossibile conoscere, sapere: la cortina di ferro nascose meraviglie e crimini per decenni. Neppure la trasparenza, vera o presunta, del post-comunismo ci spalancò le porte della Russia profonda: ancora oggi, poco sappiamo, poco capiamo. E, tuttavia, molto giudichiamo.

La Russia è troppo grande, troppo importante, per comprenderla appieno oppure ignorarla olimpicamente. Di una cosa, però, possiamo essere certi: Putin gode di un enorme prestigio presso il proprio popolo. Anche Napoleone, d’altronde, era idolatrato dai Francesi, nonostante ne avesse condotti a morte a centinaia di migliaia: l’amore della gente è bizzarro e viaggia su binari spesso indecifrabili. Così, può darsi che un dittatore, sia pure meno appariscente di altri, elimini i propri oppositori con i sistemi di un boss mafioso e conservi un altissimo grado di consenso popolare. Non è il primo tiranno ad essere amato e non sarà l’ultimo.

E Naval’nyi? Chissà se era un eroe puro e disinteressato o una marionetta: un vero russo o un antipatriota? Di sicuro è una vittima: anzi, un martire. In greco antico, ‘martyr’ significa “testimone”: e questa morte è l’equivalente di una testimonianza, in un immaginario tribunale, che giudichi dell’operato del presidente russo. Una delle tante.

Eppure, c’è ancora chi difende Putin e che arriva a sostenere che tutte queste morti con lui non abbiano nulla a che vedere. Ma tre indizi fanno una prova e, quando gli indizi sono molti di più, fanno una ragionevole certezza.

Perciò, con ragionevole certezza, io dico che Putin ha le mani sporche di sangue. Certamente, avrà dei meriti: ha restituito ai Russi un orgoglio nazionale, ad esempio. Ma, senza dubbio, non è un leader democratico né, men che meno, liberale. Né dice di esserlo, per la verità: lui è un leader russo, nell’accezione piena del termine. E, probabilmente, è per questo che non riusciamo a decodificare le sue azioni e le sue parole: il suo modo di parlare di pace e il suo modo di fare la guerra: le sue dichiarazioni di democrazia e la sua spietata campagna di eliminazione degli oppositori.

E’ la solita vecchia storia, tra noi e la Russia: una Nazione magnifica e sgangherata, cui non chiederemmo altro che di volerle bene. Se solo non ci facesse così paura.

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