UBI, IL PATETICO TRAMONTO DELL’ORGOGLIO OROBICO

di CRISTIANO GATTI – In giro per Bergamo ormai c’è stabilmente il Covid a rendere tutto relativo e a ridimensionare certe miserie della vita comune. La colonna dei camion con le bare copre tutto di un’ombra macabra, il resto diventa dettaglio marginale. Sarà così per molto tempo ancora, se la memoria non sarà solo un fuoco fatuo a scadenza stagionale.

Certo, in altri tempi, anche solo sei mesi fa, la caduta dell’ultima banca a matrice orobica – delle quattro storiche, tutte sbranate dai forestieri – avrebbe scosso i palazzi e la stessa identità locale fino sotto le fondamenta.

E difatti nonostante tutto neppure adesso si può dire stia passando via inosservata. A dirla fino in fondo, dentro gli ambienti che contano – più che altro soldi – il fungo atomico sta continuamente allargandosi. Sottotraccia, senza sollevare polvere, perchè non sta bene, non è garbato, di questi tempi: ma si allarga.

E’ andata così, è andata malissimo. Il finale ha risvolti penosi e grotteschi, da vera Caporetto identitaria: quando negli ambienti finanziari s’è sparsa la voce che il Car, persino il Car, vendeva a Intesa, una mezza risata l’hanno fatta in tanti. D’altra parte, è il minimo: soltanto a febbraio, questo Car aveva alzato barricate e scavato trincee contro il prepotente invasore, issando in automatico la bandiera dell’orgoglio e della rabbia di campanile.

Per simpatica coincidenza lessicale, Car ha una forte carica evocativa di stampo militare. In questo caso, anzichè Centro addestramento reclute, sta per Comitato azionisti di riferimento. E’ – era – di fatto l’armata bergamasca che deteneva con alcuni alleati esterni il 19 per cento delle azioni, una forza d’urto niente male. Dietro ai pacchetti azionari, parecchi nomi notissimi in città e nelle valli. Diciamolo pure, i veri potenti del reame: i Bombassei (Brembo), i Radici, i Bosatelli (Gewiss), i Pilenga (fonderie), gli Andreoletti. A tenere le fila dell’alleanza, il notaio Armando Santus, il classico maresciallo fiero e indomito, votato anima e corpo alla causa, fino al punto di esporsi con proclami eclatanti non appena Intesa comincia a metterci il naso: “L’offerta di Intesa è ostile, non coerente con i valori impliciti di Ubi, dunque inaccettabile”.

I valori impliciti cui si fa riferimento sono quasi religiosi, raccontati ancora oggi come “difesa e stimolo del territorio”. Un secolo fa era effettivamente così, ai tempi della gloriosa Popolare, nonna di Ubi. Ma in tempi moderni, di mercato a tutto spiano, di cinismi economici da far rizzare i capelli a Papa Francesco, come per tutte le banche locali anche per Bergamo questa appare una fiaba da bimbi. In realtà, la difesa del territorio che intendono i potentati di periferia è la difesa della loro gestione, di questo territorio: chi aiutare e chi buttare fuori dalla porta, chi salvare e chi affondare. Potere, si chiama. Potere. Anche se qui, nella terra delle prudenze e delle ipocrisie, nessuno userebbe mai questo vocabolo tenebroso del Devoto-Oli. Lo lasciano usare a Papa Francesco e fanno finta di non sentire.

In ogni caso, aria da guerra totale. Da una parte Intesa che vuole comprare, dall’altra i Carristi che non vogliono vendere. In mezzo, i piccoli azionisti. I quali non sono più quelli di una volta, ai tempi dei nonni e dei padri, quando l’azione della Popolare era un santino di famiglia, il segno della banca mamma, zia, sorella, con un legame affettivo che aveva poche spiegazioni razionali. Adesso, mandati tutti al museo i valori sociali dell’altro secolo, il piccolo azionista fiuta la convenienza e va via sul pratico. Difatti, le vendite a Intesa cominciano a pioggia, con innegabili vantaggi sul conto: da questo punto di vista, i bergamaschi non devono imparare nulla da nessuno. Nemmeno dai bocconiani e dai santoni di Harvard.

Niente, neppure questo vento contrario smuove però il Car dal suo fortino. E’ una battaglia di principio e di valori (seeeeee, ndr), mettono di mezzo storia e cultura (seeeeee, ndr), nessuno dei Vip locali intende piegarsi alla volgare logica della compravendita. Il mitologico Fratus, non si capisce se più convinto o più sprovvisto di senso del ridicolo, esce eroicamente e proclama: “I miei di Bergamo terranno”.

Difatti. Eccolo col cerino in mano. Dietro, la sua armata è fiera e indomita come quella italiana dell’8 settembre. In poche ore, tutti i cavalieri dell’apocalisse, pronti a spianare i cannoni per respingere il nemico e difendere “il territorio”, si precipitano a vendere i corposi pacchetti azionari e a consegnare le chiavi di casa a Intesa. Caso mai sfumasse l’occasione d’oro.

Però sia ben chiaro, specificano gli eroi locali: la vendita avviene solo quando la loro valorosa battaglia ottiene garanzie memorabili, come si legge in apposito comunicato: “Abbiamo ricevuto ampie rassicurazioni su quattro punti: la tutela e la valorizzazione del personale di Ubi, le aspettative del territorio, la continuità nello sviluppo dei progetti in corso con attenzione ai valori della banca, il rapporto di collaborazione con gli imprenditori azionisti”.

Anche se nessuno l’ha capito, praticamente Intesa si è arresa alle loro condizioni. L’hanno messa in ginocchio. A certi bergamaschi piace raccontarsela. D’altra parte, c’è gente che ancora parla in giro dell’Atalanta massima espressione della bergamaschità, e pazienza se in prima squadra giocano tutti stranieri (il solo italiano sta in porta).

Resta il fatto che a prima vista – magari è una visione superficiale – Intesa ingloba dopo le locali venete anche il forziere lombardo: con l’aggiunta del predominio storico nel nord-ovest, appare un bancone enorme e potentissimo nell’intero Nord produttivo d’Italia. Un dominio che piace tanto all’Europa, da sempre a spingere per le mega-fusioni e i mega-sportelli.

Quanto al Car, risulta momentaneamente impegnato in faccende sue. Regolamenti di conti interni, ma più che altro conteggio dei bigliettoni lucrati sulla trattativa. E i valori? E il territorio? E l’identità? Via, tutto ha un prezzo. Anche gli ideali, quando gli idealisti sono di una certa pasta. Forse è il momento che lo impari anche la gente comune. Quanto meno, nel momento di scegliersi eroi, glorie e bandiere. Donizetti e Papa Giovanni, tendenzialmente, avevano forse un qualcosa in più di questi nuovi Vip.

P.s.: questo articolo è troppo lungo, me ne scuso con gli eventuali lettori, ma certe storie sono così complicate da richiedere uno sforzo in più per la comprensione

 

10 pensieri su “UBI, IL PATETICO TRAMONTO DELL’ORGOGLIO OROBICO

  1. Danilo dice:

    Che parli di politica, ciclismo, Atalanta o vicende locali, Gatti è sempre un piacere leggerlo. Pane al pane …senza ipocrisie o giri di parole.

  2. Aldo dice:

    Sono totalmente d’accordo! I grandi azionisti (si fa per dire, meglio mercenari) quando Intesa ha sputato (questo il termine giusto) 0,57 centesimi, hanno subito calato le brache, si sono messi a 90 gradi e invitato Intesa a entrare in UBI, bravi, vero che il dio soldo non sbaglia mai!!!!

  3. Alberto Schivi dice:

    Come ex dipendente sono molto deluso e rattristato.la Ubi veniva indicata da tutto il mondo finanziario italico come la piu’ seria candidata a fungere da polo aggregante per far sorgere un terzo gruppo bancario di rilievo nazionale ed internazionale.perche’ si è atteso così a lungo? Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti

  4. Elena dice:

    Articolo fantastico..condivido pienamente..sono una dipendente e fino alla fine ho sperato che i valori di UBI ci avrebbero resi invulnerabili..abbiamo perso tutti qualcosa..Bergamo e provincia in particolar modo..

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