di DON ALBERTO CARRARA – Le messe sono diminuite dappertutto, a causa del Covid-19. Questo fatto è da considerarsi una grazia o una disgrazia?
Le messe celebrate in periodi normali sono numerose. Obbediscono a un principio pastorale sano: andare incontro alle esigenze della gente. Siccome le esigenze sono molte, molte devono essere le messe. Messe tutti i giorni, messe a tutti gli orari, messe in tutte le chiese. Alla domenica soprattutto.
E così ci sono le messe del mattino presto, per chi deve tornare a casa a preparare il pranzo per tutta la famiglia, la messa di mezza mattina per chi si è alzato da poco e fa la prima sgambata fuori casa, la messa di fine mattinata per chi torna a casa e trova il pranzo preparato da chi è andato a messa di prima mattina.
Poi ci sono le messe del tardo pomeriggio per chi deve tornare a casa per cena, e le messe, in alcune chiese, di tarda serata per chi è uscito per fare la gita o per sciare. Ma, alla base di tutto, stava quel principio: andare incontro alla gente.
Ci si è mossi in quella direzione in tempi nei quali la partecipazione alla messa era massiccia, o perlomeno, più massiccia di quanto non lo sia oggi. La struttura di orario creata allora, in quella situazione, è continuata con pochi trascurabili cambiamenti, in una situazione spesso radicalmente diversa. Ha funzionato, in maniera sovrana, la legge dell’inerzia. Mentre le messe restavano molte, cambiava la fisionomia di coloro che vi partecipavano, che da numerosissimi, sono diventati, col passare del tempo, numerosi, poi pochi, poi, spesso, pochissimi. E così molte messe che dovrebbero essere, tutte, eventi comunitari sono diventate eventi per pochi intimi.
Raramente si è pensato alla prospettiva contraria: non la messa che va incontro alla gente, ma la gente che va incontro alla messa. In quel caso non si dovrebbe soltanto trovare un orario che vada bene il più possibile a tutti, ma dovrebbe cambiare anche la fisionomia della messa. Da messa per – prevalenti – particolari categorie, la messa diventerebbe messa per tutti, messa della comunità. Non molte messe per pochi, ma poche, pochissime messe per molti.
Su questa situazione ha fatto irruzione il Covid-19. Il quale ha costretto a ripensare drasticamente tutto. Prima il lockdown, poi le messe con le distanze previste, comprese le esigenze igieniche e la sanificazione delle chiese, hanno consigliato, quasi sempre e sotto la pressione della forza maggiore, a ridurre le messe. A ben pensarci, si è trattato, ancora una volta, del sacro principio di cui sopra: si deve andare incontro alla gente. La gente stressata dal Covid ha stressato anche il quadro degli orari delle messe.
Adesso, finita l’estate, con la riaperture delle scuole, con gli spettatori negli stadi, con la fine auspicabile dell’obbligo della mascherina e della distanza, che si farà con le messe? Si tornerà alla situazione di prima? Così, a prima vista, mi sembrerebbe inopportuno. Mi parrebbe invece una occasione da sfruttare per tornare a delle messe meno funzionali alle “esigenze della gente” e più liturgiche, più “messe di tutti”.
Ci vuole solo un po’ di coraggio e un po’ di lungimiranza. Il coraggio per prendere atto che non si è più come prima e un po’ di lungimiranza per preparare quello che saremo dopo.
Grazie Don Alberto condivido.
Nostro Signore ha veramente bisogno di poco per entrare nei nostri cuori basta anche solo una fessura in quella porta che teniamo sempre chiusa
Non ha bisogno di tante messe, ma di orecchie attente alla parola.
Non ha bisogno di campane assordanti ma di raccoglimento nel silenzio.
La messa è un dono non una svendita di merce in eccedenza