In questi giorni infuria il dibattito sugli youtuber adolescenti (e anche qualcosa di più) dediti a folli, pericolosissime gare come quella del 20enne romano che ha travolto e ucciso con un Suv un bambino di 5 anni a Casalpalocco. Uno studio gigantesco, condotto in Italia dal Dipartimento Politico Antidroga di Palazzo Chigi in concerto con l’Istituto Superiore di Sanità, denominato “Dipendenze comportamentali della generazione Z”, ha messo in rilievo alcune cifre sconcertanti relative ai gamers dei social challenge, ovvero i giocatori che lanciano sfide estreme trasmesse in diretta o riprodotte su YouTube e Instagram (principalmente), ma anche su Facebook e altrove. Ebbene, nel nostro Paese si stima che almeno 243.000 adolescenti – il 6% abbondante tra gli 11 e i 17 anni – abbiano partecipato almeno una volta a queste gare scriteriate. Tra questi un 18enne che la settimana scorsa, per girare un video scherzoso da pubblicare poi sui social, si è buttato nel fiume Secchia e non è più stato ritrovato.
Di fronte a questi fenomeni di massa che riguardano alcuni dei nostri giovani borderline, ci si chiede spesso dove siano i genitori (lo ha fatto anche Cristiano Gatti, direttore di @ltroPensiero.net, la scorsa settimana a proposito dell’omicidio di Casalpalocco e per questo ha ricevuto persino commenti piccati del tipo: “La solita storia, sempre e solo colpa dei genitori! Ma non avete altre prospettive?”). Ha ragione, chi ha ripreso Gatti con osservazioni di quella risma: i genitori sono innocenti, perché mentre i figli più grandicelli sono in giro per mettere a repentaglio la propria vita e quella altrui, loro sono al campo a menarsi alle partite di calcio dei più piccoli. Non possono umanamente svolgere il loro ruolo di primi educatori, stando contemporaneamente in due posti diversi. A malapena la bilocazione riusciva a Padre Pio, anche se lui le botte le prendeva senza reagire.