CI SIAMO: L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE SPAZZA VIA I GIORNALISTI

Axel Springer, editore del tabloid tedesco “Bild” (“Immagine”), è uno di quei manager che hanno l’aria di sapere quel che sta per accadere e, soprattutto, non hanno vergogna di spiegarlo a noialtri miopi mortali. Possiamo immaginarlo sulla tolda di una nave mentre scruta l’orizzonte: dove noi vediamo una distesa d’acqua, lui scorge terraferma, l’America del mondo che sarà, completa di occasioni di investimento, crescita e, naturalmente, profitto.

Springer è uno di quegli uomini di successo che siccome una volta hanno avuto ragione, pensiamo che debbano avere ragione sempre. Più ancora, è lui stesso a pensare che, avendo avuto ragione in passato, dovrà per forza aver ragione in futuro. Dopo tutto, qualche motivo di orgoglio ce l’ha. Siede sulla poltrona dirigenziale del quotidiano più diffuso d’Europa: circa 1,1 milioni di copie vendute al giorno. Il “Daily Mail”, oggi il quotidiano britannico più venduto, si ferma a 770mila. Numeri che qualunque editore italiano neppure osa sognare ma che, a dirla tutta, rappresentano un drammatico arretramento rispetto alla circolazione della carta stampata dei tempi d’oro. Senza andare troppo indietro nel tempo, la “Bild”, nel 2014, vendeva qualcosa come 2,4 milioni di copie al giorno. Quasi dieci anni di declino costante l’hanno portata alla circolazione di oggi: imponente in senso assoluto, decisamente impoverita in termini relativi.

Springer condivide la discesa libera delle copie con tutto l’universo editoriale, non solo quello europeo. Il travaso dei lettori dalla carta stampata al digitale (ovvero in un mare indistinto che contiene tutto e il contrario di tutto, pubblicazioni egregie e fake news, “acchiappaclic” e articolesse degne del Pulitzer) ha prosciugato lui come tutti. E lui, come tutti, è in cerca di soluzioni per salvare il suo giornale. Solo che, essendo l’uomo sulla tolda che vede lontano, pensa di aver trovato la chiave di quello che è un problema irrisolto sin da quando Philip Meyer, nell’ormai lontano 2004, ha messo tutti sull’avviso pubblicando il suo saggio “The vanishing newspaper”.

Non che l’idea di base sia inedita: per far tornare i conti, vendendo meno copie, occorre ridurre i costi. E ridurre i costi, nei giornali ma non solo, equivale a tagliare personale, tra cui ovviamente i giornalisti. L’idea “nuova” che Springer vorrebbe promuovere è quella di sostituire i giornalisti licenziati con l’intelligenza artificiale.

Ed ecco che tutti quanti noi pennivendoli ci troviamo di colpo a provare quel che provarono le vecchie tute blu quando un robot prese il loro posto in officina: incredulità, rabbia, frustrazione. E, in più, un poco di disprezzo: facciamo un lavoro intellettuale, noi; sarà mai possibile che un computer possa sostituirci nel ruolo di cercatori ed estensori di notizie, con tutto il repertorio di professionalità, ma anche di sensibilità e di cultura, che ciò comporta?

Springer però fa parlare la logica economica, inserendola nelle prospettive della tecnica. In una mail inviata alla redazione e pubblicata dal quotidiano “Frankfurter Allgemeine”, Springer dice che il giornale “dovrà separarsi dai colleghi che svolgono mansioni che possono essere sostituite dall’intelligenza artificiale e da processi digitali, oppure che non possono adattare le loro competenze a questa nuova organizzazione”.

Come dire: è il futuro, bellezza, e non possiamo farci niente. Specie se vogliamo tenere in qualche modo a galla l’azienda. “Senza fatturato è profitto, tutto è nulla” aggiunge ribadendo un irrinunciabile principio economico, “La libertà di poter fare giornalismo indipendente e critico dipende dal successo economico”. Ed è proprio qui che Springer, forse, si incarta: l’intelligenza artificiale sanerà pure i conti del giornale, ma non si vede come possa apportare un contributo “indipendente e critico” al suo contenuto. Se c’è una cosa che l’intelligenza non potrà mai rivendicare è proprio indipendenza e spirito critico. Il suo unico vantaggio è di poter fornire risultati a una velocità infinitamente superiore a quella possibile a noi umani, ma sempre partendo dagli input che proprio noi gli abbiamo fornito all’inizio del processo. Ovvero quella scintilla creativa che ancora ci distingue dalle macchine. Insomma: rispetto all’intelligenza artificiale siamo stupidi, nessun dubbio, ma mica fessi.

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