TRENORD, UN TRENO CHE SI CHIAMA PUTIFERIO

di MARIO SCHIANI – Un treno lascia da solo una stazione e va a schiantarsi in un’altra a quasi dieci chilometri di distanza: è accaduto l’altro giorno tra Paderno d’Adda, nel Lecchese, e Carnate, in provincia di Monza e Brianza. Perché la scena sia perfetta per la cinepresa di Mack Sennett aggiungiamo, a bordo, un passeggero addormentato ma destinato a un brusco risveglio e, dietro il convoglio, due macchinisti che, lo stomaco appesantito da un panino alla pancetta, inseguono sbracciandosi.

Un film che ha stupito, divertito e indignato tutta l’Italia e probabilmente anche il resto del mondo ma per noi, e presto spiegherò chi intendo per noi, non è altro che una palata di carbone gettata nella caldaia della rabbia.

“Noi” siamo gli utenti di Trenord, altrimenti noti come “pendolari” o “passeggeri”. In realtà siamo gente normale: studenti, impiegati, operai, turisti, perfino qualche vagabondo di passaggio. Vantiamo anni di onorata (?) permanenza sulle tratte regionali lombarde e, sebbene un treno che scappa da solo non l’avessimo mai visto, non basta questa piccola novità, questa scenetta comica (che però se fosse accaduta a scuole, fabbriche e uffici a pieno regime tanto comica non sarebbe stata) a sorprenderci: sappiamo bene come su questi binari possa accadere di tutto.

Il “disastro comico” di Carnate non è passato e non passerà inosservato. Oltre all’indagine interna di Trenord, ci sarà un’inchiesta della magistratura, che già ipotizza a carico di ignoti il reato di disastro ferroviario colposo. E poi, anche nei sistemi meglio gestiti c’è da aspettarsi l’incidente occasionale: i sistemi sono costruiti da uomini, e gli uomini sbagliano, e sono gestiti da macchine, e le macchine si logorano e si guastano. C’è solo da sperare che il prezzo di questi imprevisti non venga pagato in vite umane e che ogni incidente valga da esperienza per migliorare la sicurezza di tutti.

Gli utenti di Trenord questo lo possono capire. Quel che non capiscono è come mai da anni, si vorrebbe dire da sempre, essi sono invece sottoposti a un quotidiano stillicidio di inefficienza, approssimazione e incuria. Non un grande deragliamento una tantum, ma una serie di piccoli deragliamenti al buon senso, alla ragione, all’orgoglio del lavoro ben fatto, di cui sono vittime giorno per giorno. “Vittima” è il sostantivo giusto, quello scelto da loro: l’account Trenord Victims su Facebook ha quasi diecimila follower. Non è l’unico: il gruppo Pendolari Trenord, che pure segnala ritardi e disservizi, conta 2.400 aderenti.

Se le prime indicazioni saranno confermate, l’incidente dell’altro giorno sarebbe dovuto a un guasto (un’avaria al freno di stazionamento) e non a un errore umano. Vedremo. Restano sotto gli occhi di tutti gli “errori umani” fatti in Lombardia in decenni di (mancata) pianificazione del trasporto locale su ferrovia. Un declino che riguarda l’Italia in generale, impegnata a inseguire il business dell’alta velocità con i suoi profitti, gli alti profili manageriali, le livree firmate da stilisti e i cestini del pranzo riempiti dagli chef stellati, ma che in Lombardia si denuncia per la sua gravità, ovvero per l’impossibilità di assistere in modo adeguato una regione economicamente tra le più importanti d’Europa.

Ritardi, stazioni abbandonate in favore dell’automazione (ma non del rinnovamento strutturale), sporcizia e scarsa vigilanza. Il tutto scarrozzato su una rete fondamentalmente arretrata e insufficiente, soffocata da strozzature che non permettono un traffico più regolare e di portata superiore. Quando non è la rete a tradire, ci si mettono gli scioperi, proclamati spesso per ragioni generiche e discutibili e comunque sempre il venerdì, così da assicurare a qualcuno un bel weekend lungo.

Non bastano allora le operazioni di marketing, l’aria condizionata e le biglietterie online: sotto il design si intravede la nullità del progetto. I treni delle Ferrovie Nord di vecchia memoria erano famosi per gli scaldini roventi, lo sferragliamento costante e l’aria ottocentesca, ma almeno facevano il loro servizio, adeguato ai tempi e alla società. Oggi, nonostante loghi, uffici stampa e campagne promozionali, non è più così.

Un ultimo esempio: a Como da giorni si discute su una sventura annunciata. Di recente i passaggi a livello sono stati aggiornati con un nuovo dispositivo di sicurezza, che però da settembre ne allungherà i tempi di chiusura. Nel solo territorio comunale di Como ci sono quattro passaggi a livello, tre dei quali in pieno centro. Per gli automobilisti comaschi si annuncia dunque un autunno in coda. Un problema da risolvere in fretta, ma prima c’è da capire chi è l’interlocutore: Trenord, la Regione, il governo, l’Europa? Pare si tratti di una disposizione dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie. Comunque sia, per ora ne è venuta fuori una bella polemica tra i partiti – di cui sentivamo il bisogno –, con intervento del ministro dei Trasporti Paola De Micheli che ha promesso un mezzo interessamento. Forse si verrà a capo di qualcosa, ma è chiaro che l’esistenza stessa di tre passaggi a livello nel centro di una città di piccole-medie dimensioni rende impossibile pensare a una programmazione del trasporto urbano che punti sull’alta frequenza dei treni locali.

I pendolari di Trenord e, a questo punto, anche gli automobilisti, attendono con la rabbiosa rassegnazione che li contraddistingue. Nel frattempo, hanno elaborato una teoria: gestito in questo modo e da certi personaggi, non stupisce che il famoso treno sia partito da solo. Probabilmente voleva rifugiarsi in Svizzera.

 

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