TOSCANI RIESCE A ESSERE PIU’ RAZZISTA DELLA BANANA DI TRAORE’

In qualche maniera, quel burlone razzista della Benetton Treviso rugby l’ha sistemata. E con lui una pezza ce l’hanno messa anche tutti i compagni di squadra, chiedendo scusa uno a uno a Cherif Traoré per quella inaccettabile goliardata dell’altro giorno al pranzo di Natale.

Nel tradizionale scambio di regali anonimo tra di loro, infatti, i virtuosi trevigiani (si fa per dire: la rosa è composta da corazzieri di tre continenti) della palla ovale avevano confezionato a Cherif, di Kindia in Guinea ma nazionale azzurro, un sacchetto dei rifiuti che conteneva una banana marcia. Giù tutti a ridere tra alcol e panettoni.

Giù “quasi tutti” a ridere, perché invece Traoré se n’è andato a casa stravolto e il giorno dopo ha confessato di non aver dormito, in un lungo post in cui raccontava l’accaduto e del suo animo in subbuglio. Dopo un comunicato ufficiale del club che conteneva un severo commento sull’accaduto, il presidente Amerino Zanatta ha radunato piloni, trequarti, forwards, difensori, tutta la squadra insomma, per uno shampoo energico e da lì le scuse del mattacchione e degli altri. Incidente chiuso, per Cherif Traoré, che proseguirà la sua appassionata attività comunque con una cicatrice sul cuore.

A riaprire la questione ci ha pensato un uomo d’arte, misurato, di grande cultura, civile: il fotografo Oliviero Toscani, professionista da sempre impegnato (anche) in campagne sociali, alcune delle quali per la verità non poco discusse. Palla sotto l’ascella e testa bassa, Toscani si butta nella mischia con una serie di riflessioni sull’accaduto (tra l’altro nel team sportivo dell’azienda per cui ha lavorato fino al 2020, la Benetton, che lo licenziò dopo le esternazioni sul crollo del Ponte Morandi).

Prima di riportare le sue frasi, il dovere di cronaca impone di ricordare che Oliviero Toscani (da Wikipedia) “(…) nel 2004 cura la campagna sulla sicurezza stradale “Non uccidere” in collaborazione con la Polizia di Stato e Genertel. Nel 2007 realizza per il marchio Nolita una campagna choc contro l’anoressia nervosa fotografando la modella e attrice francese Isabelle Caro, malata di anoressia, del peso 31 chili per 1,64 m di altezza. A causa della crudezza delle immagini la campagna divide il pubblico ed i critici, fra chi la ritiene formativa per i giovani e chi un episodio di sciacallaggio pubblicitario. La modella è morta il 17 novembre 2010. (…) Il 2007 è l’anno in cui Toscani inaugura il progetto “Razza Umana”, una ricognizione fotografica sulle diverse morfologie e condizioni umane, per censire tutte le espressioni e le caratteristiche somatiche, sociali e culturali del genere umano, iniziando da più di 100 comuni italiani, lo Stato di Israele, la Palestina e il Guatemala”.

Ebbene Toscani è giustamente sembrato ad Andrea Pistore del “Corriere della Sera” l’intervistato perfetto dopo un episodio così di cattivo gusto e assai poco natalizio, tanto meno divertente. Così gli ha risposto il fotografo: “Quelli che gli hanno regalato la banana sono degli emeriti cretini come tutti gli sportivi (…). Ditemi una frase intelligente detta da uno sportivo, dopo Mohamed Alì. Non ragionano mai (…). Il rugby ambiente nobile e di sani valori? Sono anche loro dei deficienti tatuati: l’unica cosa che sanno fare è mettersi l’inchiostro sulla pelle e andare dal parrucchiere. Nient’altro (…). Dopo 30 anni di campagne contro il razzismo questa cosa mi fa arrabbiare e sicuramente Luciano Benetton è incazzato quanto me. È una persona civile e sarà furibondo. Sono amareggiato che ciclicamente avvengano fatti simili, ma confermo che gli sportivi sono degli stupidi e non è vero che la palla ovale è un ambiente esente da queste situazioni”.

Per Oliviero Toscani, insomma, non esistono differenze tra gli umani, a parte quell’esercito di imbecilli che sono gli sportivi: loro sì, razza inferiore. Altro che negri, ebrei, terroni, musi gialli, polentoni: gli sportivi, loro sono la generica piaga da ghettizzare.

Una triste istantanea, realistica e cruda, del nostro miserabile mondo. Un mondo che cambia soltanto dalla prospettiva da cui lo guardiamo, lo viviamo, ne parliamo, ma non si stacca mai da quella radice di intolleranza e razzismo che sbuca all’improvviso dal marciapiede dell’anima. Anche quella apparentemente nobile di chi li combatte da una vita.

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